Il 27 febbraio si sono chiuse definitivamente le votazioni da parte dei 6.687 membri dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences per decretare i vincitori della 90ª edizione degli Oscar. La cerimonia di premiazione si tiene il 4 marzo (su Sky Cinema Oscar HD in diretta dalle 22.50, mentre il 5 in prima serata va in onda lo speciale Il meglio della Notte degli Oscar 2018). Per i bookmaker, i favoriti sono il film La forma dell’acqua e il suo regista Guillermo del Toro. Tra gli attori sembrano imbattibili Gary Oldman, alias Winston Churchill nel biopic L’ora più buia (le scommesse lo danno a 1 a 10), e Frances McDormand, tostissima “madre coraggio” in Tre manifesti a Ebbing, Missouri. Queste, invece, sono le nostre preferenze: fateci sapere se siete d’accordo con le nostre scelte.

Miglior film: 3 manifesti a Ebbing, Missouri

Un’annata di film così belli non capita spesso: dai palpiti giovanili di Chiamami col tuo nome all’amore fantastico di La forma dell’acqua, dalle battaglie etiche di The Post alla guerra vissuta “da dentro” di Dunkirk. Il nostro cuore, però, batte per un film sull’America profonda che è insieme struggente e ironico: Tre manifesti a Ebbing, Missouri. Al centro della storia ci sono il dolore, la vendetta e la solitudine di Mildred (Frances McDormand), una donna che ha perso la figlia in un brutale omicidio. Se la vedrà con i poliziotti locali (Woody Harrelson e Sam Rockwell) per avere giustizia. La scrittura di Martin McDonagh (anche regista) affonda il coltello nelle pieghe e nelle piaghe della società di oggi, dove tutti sono ugualmente egoisti, intolleranti, vigliacchi. Ma dove ciascuno può redimersi. Guardando il film si piange e si ride, perché il messaggio è limpido: la vita è così terribile che bisogna per forza scherzarci su.

Miglior attore: Timothée Chalamet per Chiamami col tuo nome

È la storia di Davide contro Golia. Di giganti, tra i 5 nominati, ce ne sono almeno 2: Gary Oldman, il favorito per l’interpretazione di Winston Churchill in L’ora più buia, e Daniel Day-Lewis, al suo film d’addio con Il filo nascosto. Il piccolo eroe che, nei nostri Oscar immaginari, li sconfigge è questo 22enne newyorkese diventato la rivelazione dell’anno. In Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino, Timothée è indimenticabile: riesce a mostrare tutta la goffaggine dell’adolescente che scopre l’amore (e il sesso), ma anche la naturale sfrontatezza dell’età più magica e insondabile della vita. E rende un primo amore gay una storia universale, un incontro tra due anime che si sfiorano e si allontanano ma resteranno unite per sempre. Davvero emozionante il lungo primo piano finale, retto fino all’ultimo secondo: divi ben più consumati di lui non saprebbero fare lo stesso.

Miglior regista: Guillermo del Toro per La forma dell’acqua

Se La forma dell’acqua è il film più romantico dell’anno, il merito è del suo regista: Guillermo del Toro. Dal primo all’ultimo minuto, sospiriamo per Elisa, la timida ragazza muta (Sally Hawkins) che si innamora di una creatura anfibia tenuta prigioniera nel laboratorio del governo Usa dove lei lavora come addetta alle pulizie. Del Toro, che ha impiegato 7 anni per realizzare questo film, riempie lo schermo di colori accesi e fa danzare la macchina da presa come in un musical. Per l’Oscar al miglior regista ha rivali del calibro di Christopher Nolan (Dunkirk) e Paul Thomas Anderson (Il filo nascosto). Ma l’immaginario goticonerd di Del Toro, già autore del cult Il labirinto del fauno, non è mai stato così maturo, originale, toccante. La nostra statuetta va a lui. E al suo atto d’amore: per ciò che è “diverso”, per un’America che può riscoprire la solidarietà, per le fiabe che ci hanno insegnato che ogni passione è lecita.

Miglior attrice: Margot Robbie per Tonya

La storia (vera) è di per sé incredibile: nel pieno delle Olimpiadi invernali del 1994, la pattinatrice americana Tonya Harding, specialista nel difficilissimo “triplo axel”, fu accusata di essere tra i mandanti dell’aggressione alla rivale Nancy Kerrigan. Ne seguirono un caso mediatico e la squalifica. Il lavoro che fa Margot Robbie (anche produttrice di Tonya, in sala dal 22 marzo) su uno dei personaggi più controversi dello sport è impressionante. Più che una prova mimetica, è lo studio su una donna che, sì, voleva vincere a ogni costo ma è stata anche costretta (a partire dalla madre) a essere ciò che non era: l’eroina di una Nazione. Nel rivelare il lato oscuro di Tonya, Margot tiene testa a Meryl Streep (alla 21ª candidatura per The Post) e Frances McDormand (in pole position con Tre manifesti a Ebbing, Missouri). E ci fa capire il perché di una vita sempre oltre i limiti: lasciato il pattinaggio, oggi Tonya è campionessa di boxe.

Miglior attore non protagonista: Willem Dafoe per Un sogno chiamato Florida


Ci sono piccoli ruoli che rimangono indelebilmente impressi nella memoria. Quello di Willem Dafoe in Un sogno chiamato Florida (al cinema dal 29 marzo) è uno di questi. L’attore veste i panni di Bobby, gestore di un motel di Orlando, tanto vicino a Disney World quanto lontano dalla sua spensieratezza, dove vive un’umanità ai margini. E dove i 3 bambini protagonisti riescono a trasformare un’estate fatta di assolato degrado e madri inadeguate, gelati scroccati e marachelle di strada, in grandi, magiche avventure. Dafoe è il “padre” che li osserva e li protegge, senza mai cedere al patetismo. Si gioca l’Oscar con colleghi imbattibili (vedi il duo di Tre manifesti a Ebbing, Missouri: Sam Rockwell e Woody Harrelson), ma le sfumature di severa umanità che sa regalare al personaggio rendono la sua performance davvero unica.

Miglior attrice non protagonista: Lesley Manville per Il filo nascosto

Il nome forse ti dice poco, ma Lesley Manville è una colonna del teatro inglese. Al cinema ha collezionato piccole parti, una persino qui da noi (in Viaggio sola con Margherita Buy). A 61 anni strappa la prima nomination grazie a un altro ruolo “spalla” scolpito alla perfezione. In Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson è Cyril, la sorella gelida e inacidita del sarto Reynolds Woodcock (interpretato da Daniel Day-Lewis): senza quasi proferire parola, riesce a rivelare l’interiorità di una donna che non ha mai vissuto la sua vita fino in fondo, messa in ombra dal carisma del fratello. Il suo modo per emergere? Vendicarsi delle donne che lui porta a casa. Le colleghe con cui gareggia sono fortissime (Allison Janney, madre spietata in Tonya, e Laurie Metcalf, madre comprensiva in Lady Bird), però il nostro Oscar va a Lesley.

Miglior film d’animazione: Coco

Si può parlare della morte ai bambini? Coco dice di sì, e riesce nell’impossibile: commuovere le generazioni più diverse facendole riflettere su chi ci lascia e chi resta. L’aldilà è solo un altro dei mondi possibili, nello sterminato universo “made in Pixar”. E il viaggio del piccolo Miguel nel regno delle anime, alla ricerca degli avi e dei ricordi di famiglia (con immancabili colpi di scena: quelli che crediamo eroi non sempre lo sono), è un capolavoro di realtà e immaginazione che batte i concorrenti, dallo scanzonato Ferdinand al pittorico Loving Vincent. Dentro ci sono colori, azione, battute, lacrime e un brano-tormentone (Remember me) che con tutta probabilità vincerà l’Oscar per la migliore canzone. Il segreto sta nell’equilibrio perfetto delle emozioni. Guardandolo, se ne scatenano almeno 2 di quelle raccontate nel precedente Inside out: Gioia e Tristezza. Perché di questo è fatta la vita.