Non è la prima volta che la televisione di Stato inciampa su una questione tanto delicata come l’identità delle donne: un retaggio culturale impossibile da scavalcare? Uno stereotipo imperdonabile? Pregiudizi troppo radicati? Forse un po’ di tutto. Fatto sta che tante lotte, urla e proteste di piazza non sembrano essere servite a cambiare l’immagine della donna seduttiva e compiacente che costruisce il suo futuro (e quindi le sue scelte) su un corpo e non sulla fatica di un lavoro svolto duramente. Ma, ancor peggio, il servizio pubblico, che dovrebbe essere impegnato nel debellare proprio questi pregiudizi nei confronti delle donne, non fa che radicare sempre di più preconcetti intollerabili. Come? Attraverso le fiction.
Sì, perché il passo tra una “cultura” che fa a pezzi il ruolo della donna e una violenza perpetrata su quello stesso corpo è breve. E allora ci chiediamo: noi donne siamo ancora così? Fingiamo finti stupri, ci proclamiamo vittime di violenze sessuali e collezioniamo bugie su bugie? Stando all’ammiraglia Rai sì. In meno di un mese, infatti, tre delle principali fiction, riportano fatti legati a pregiudizi nei confronti delle vittime di abusi. Eppure sembrava che nel mondo, seppur timidamente, le cose stessero cambiando.
Non è così se si guarda il vicequestore Lolita Lobosco-Luisa Ranieri: le sue indagini sono un concentrato di cliché sessisti e nonostante ciò si tratta di uno degli ultimi successi firmati Rai Fiction. Segno che piace a tanti. Per gli autori (sceneggiatori, attori e telespettatori) è quindi normale proporre una donna così: vuol dire che lo stereotipo è così innato che non ci accorgiamo più di cosa è giusto e sbagliato? Altro che paladina di una nuova femminilità contemporanea: semplicemente una donna che smaschera un’altra donna che accusa un uomo di averla stuprata su richiesta della moglie dell’uomo che vuole incastrarlo per poter vivere con il suo amante.
Ma le indagini della barese Lobosco non sono le uniche a rivelare questa idea di donna oggi esacerbata dai social che non ci stanno più ad assecondare pregiudizi che immancabilmente si cerca di smantellare ogni 8 di marzo. Nella fiction Mina Settembre, l’assistente sociale interpretata da Serena Rossi scopre che Martina, una giovane estetista, sta accusando un ginecologo di una violenza sessuale mai avvenuta. E persino nella tanto amata serie Che Dio ci aiuti, con Elena Sofia Ricci, arrivata alla sua sesta stagione, troviamo, di nuovo, una denuncia di stupro subito da una donna, che poi si rivela essere falso.
«Adesso basta. Pretendiamo spiegazioni. Queste coincidenze sono imperdonabili. Non tollereremo della retorica spicciola il prossimo 8 marzo. Il supporto a una battaglia lo si dà anche attraverso una rappresentazione veritiera del mondo in cui viviamo. E nel mondo in cui viviamo, quando una ragazza denuncia uno stupro, le si chiede se è sicura, se avesse bevuto, se avesse dato modo di credere al suo carnefice di starci, quanto corta fosse la gonna che indossava. Si dubita. E la Rai ci sta insegnando che facciamo bene a dubitare», scrivono sull’editoriale indipendente Aestetica Sovietica in una lettera pubblicata online si rivolge ai vertici dell’azienda di Viale Mazzini.
E sulla polemica interviene il segretario della Commissione di vigilanza Rai, Michele Anzaldi che twitta: «Sull’imperdonabile ripetersi di finti stupri nelle fiction Rai siano le donne del Cda a chiedere spiegazioni e chiarimenti, prima che a farlo debba essere un uomo, come il sottoscritto, nei confronti di un altro uomo come l’Ad Salini. Chi non ha controllato? Quanto è stato speso?».