Il re è nudo, naufrago su una spiaggia, e ha il volto di Ralph Fiennes. Fisico nerboruto di chi ha attraversato guerre e mari in tempesta, viso stravolto da sofferenza e fatica, ovunque i segni della sua lotta per la sopravvivenza.

Così inizia Itaca – Il ritorno di Uberto Pasolini, ora al cinema: un film che racconta la storia di Ulisse come non l’abbiamo mai immaginata, attualissimo nel mostrare una famiglia che si ritrova facendo i conti con il corso del tempo. Il 62enne attore inglese dagli occhi azzurri capaci di affascinare (in The Constant Gardener) o terrorizzare (in Schindler’s List), commuovere (in Cime tempestose) o divertire (in Grand Budapest Hotel), lo interpreta con grande intensità, tornando in coppia con Juliette Binoche, nel ruolo di Penelope, a quasi 30 anni da Il paziente inglese. Parla con un misto di timidezza e passione, accompagnando le frasi con le mani. «Non bisogna pensare all’Odissea delle letture scolastiche: Ulisse e Penelope sono persone simili a noi. Via i miti!» sorride, facendo il gesto di buttare via qualcosa.

Ralph Fiennes alla Festa del Cinema di Roma

L’abbiamo incontrato alla Festa del Cinema di Roma dove ha presentato, oltre a The Return (questo il titolo originale), Conclave di Edward Berger, recente successo di pubblico e critica, in cui interpreta il decano dei cardinali che guida l’elezione papale tra colpi di scena degni di un thriller. Secondo il regista, era l’unico attore possibile, perché «ha uno sguardo che lascia trasparire pensieri ed emozioni» e meriterebbe l’Oscar già sfiorato per Il paziente inglese nel 1997 e per Schindler’s List nel 1994 (mentre scriviamo le nomination non sono ancora state annunciate). Intanto ha finito di girare 28 anni dopo di Danny Boyle, dov’è un eccentrico sopravvissuto al virus apocalittico della rabbia, e prepara il suo quarto film da regista, The Beacon, ambientato tra gli anni ’80 e ’90.

Ralph Fiennes é Ulisse nel film Itaca – Il ritorno (Foto: Maila Iacovelli -Fabio Zayed)

Che uomo è l’Ulisse di Itaca Il ritorno

In che modo l’Ulisse del film è diverso dall’Odissea che abbiamo letto a scuola?

«Qui lo vediamo semplicemente come un uomo che torna dalla guerra. Il mondo, oggi più che mai, è pieno di violenze e persone che ne sono vittime. Quanti padri, proprio come lui, tornano dalla famiglia che li aspetta? Ho sempre pensato che ogni personaggio classico ci rispecchi: in Itaca – Il ritorno non c’è il guerriero e neppure il suo avventuroso viaggio, lui non appare come un eroe quando si riprende moglie e regno uccidendo i nemici. Uberto Pasolini (sceneggiatore oltre che regista, ndr) gli ha dato una psicologia che lo rende umano, reale. Ulisse è traumatizzato dalla sua esperienza. Lo vediamo sfinito e insicuro: ha perso il senso di sé. Riflette l’umanità degli ultimi due secoli».

Chi è l’Ulisse di Ralph Fiennes in Itaca Il ritorno

Quindi ci somiglia?

«Dal punto di vista psicologico, sembra un uomo dei nostri tempi. Abbiamo fatto molti passi per capire la nostra interiorità e non parlo solo della psicanalisi iniziata da Sigmund Freud. Ognuno di noi si chiede: “Chi sono io?”. È l’interrogativo che ci porta ad avere più consapevolezza di noi stessi e che rende moderni Ulisse e Penelope in questo film».

Accanto a Juliette Binoche 30 anni dopo

Ralph Fiennes e Juliette Binoche, Ulisse e Penelope in Itaca – il ritorno

Che effetto le ha fatto tornare a recitare con Juliette Binoche a 29 anni da Il paziente inglese e a 33 da Cime tempestose?

«Juliette è un’amica da tanto e vederla nel ruolo di Penelope, sapere che anche nella storia stavo tornando da lei, è stato molto emozionante. Guardando i suoi film in tutto questo tempo, ho visto cosa significhi dare a ogni personaggio qualcosa di “vero”. È la mia stessa aspirazione di attore: alzare l’asticella nella connessione profonda con me stesso e gli altri, per dare il meglio».

Che ricordo ha del set di Il paziente inglese?

«L’eccitazione quando siamo arrivati in Tunisia per girare le sequenze nel deserto. Ricordo l’emozione di salire su uno dei biplani d’epoca del film: sotto vedevo i cammelli che avanzavano sulle dune. Mi piaceva molto girare nel deserto. Ho anche conservato le camicie di allora».

Una scena del film Itaca – Il ritorno con Ralph Fiennes

Ralph Fiennes oggi in Itaca – Il ritorno

Sente di essere cambiato, come persona?

«Ho più esperienza, ma è difficile mettere a fuoco con le parole i cambiamenti. Sono più saggio? Non saprei, non necessariamente».

Ci si aspetta di guadagnare certezze con la maturità, invece i protagonisti di Itaca e di Conclave si ritrovano a navigare tra i dubbi. Non è spiazzante?

«Lo è, e se fossi stato più giovane non avrei capito e forse neppure potuto interpretare due ruoli così. A 62 anni mi rendo conto di sapere sempre meno. Come scriveva T.S. Eliot: “Quello che non conosci è l’unica cosa che sai”. A volte mi chiedo perfino cosa mi abbia spinto a fare le scelte più intime e personali».

Compresa quella di recitare?

«Quella è più facile da spiegare. Da bambino, mia madre mi raccontava le storie di Shakespeare come fossero favole e mi faceva ascoltare le registrazioni di Lawrence Olivier. Non avevo neanche 10 anni eppure toccavano qualcosa in me. Forse per questo, da adolescente timido, preferivo le recite scolastiche agli sport. A 18 anni sono entrato alla Royal Academy of Dramatic Art di Londra, ho studiato varie forme d’arte e ho espresso quel desiderio di recitare che al liceo nessuno avrebbe incoraggiato».

La sua è stata una famiglia particolare, un po’ bohémienne. Suo padre, tuttofare, amava la fotografia. Sua madre la scrittura. Hanno influenzato la sua vena creativa?

«Di sicuro ci hanno amato e incoraggiato sempre. Per certi versi ho avuto un’infanzia romantica: ci trasferivamo ovunque mio padre trovasse lavoro, che fosse di giardinaggio o muratura. Peccato non avessimo mai abbastanza soldi. Io e i miei fratelli (sei più uno adottivo, ndr) ricordiamo bene la loro ansia…» (a proposito dei figli mai avuti, tempo fa Fiennes, che è stato sposato con le colleghe Alex Kingston e Francesca Annis, ha dichiarato: «Ho avuto troppi bambini intorno, già da piccolo«, ndr).

Le incertezze sono paradossalmente un punto fermo nell’esperienza di attore?

«Assolutamente sì. Perché la certezza spesso equivale alla rigidità. Ci rassicura viaggiare sugli stessi binari dei nostri nonni o genitori, tuttavia non rischiare ci chiude al cambiamento. Ma perché una performance sia viva bisogna essere fluidi, lasciare spazio a emozioni e sorprese».

Anche alle ferite?

«Fanno parte della vita, bisogna imparare a conviverci».