Il tabù del piacere femminile, il totem della verginità fino al matrimonio, il dogma delle nozze combinate. Una triade quasi inossidabile nella cultura islamica dominante, che una giovane donna musulmana manda in frantumi in un colpo solo. Nel romanzo Islam in love (Jouvence) Rania Ibrahim racconta di una ragazza di origine egiziana, Laila, alle prese con la fatica dell’integrazione nell’inglesissima cittadina di Dover. E non si tira indietro quando descrive esperienze e sensazioni legate alla sfera sessuale, come eccitazione, dalla masturbazione all’orgasmo. Insomma, il diario intimo – mai volgare ma certo non reticente – di una millennial come tante, se non fosse che copre i capelli con l’hijab e prega rivolta alla Mecca.
Le ragazze devono vivere secondo il concetto di “pudore”
A differenza della sua controfigura romanzesca, Rania Ibrahim il velo non l’ha mai indossato e la sua storia è tutta italiana: 41 anni, sposata, 4 figli, è nata al Cairo ma a partire dai 2 anni è cresciuta a Milano e ancora oggi vive nell’hinterland del capoluogo lombardo. «Con Islam in love ho voluto raccontare i tormenti delle giovani musulmane di seconda generazione» spiega. «La nostra è un’identità “meticcia”, divisa in due. Da un lato c’è quella interiore: ovvero, la società d’origine, la famiglia araba tradizionale, una cultura giudicante e oppressiva soprattutto per le donne, che sono spinte a introiettare un codice di comportamento che si può riassumere nel concetto di “haya”, pudore, e a cui ci si deve uniformare senza riflettere. Dall’altro c’è quella esteriore: la società occidentale moderna con cui veniamo a contatto tutti i giorni a scuola, per strada, sul lavoro. Ancora oggi, dopo tanti anni, io non so qual è esattamente la mia identità: non sono egiziana, ma non sono neanche del tutto italiana. È una situazione difficile, stimolante dal punto di vista intellettuale ma anche molto faticosa da quello personale».
Secondo il Corano la moglie ha diritto a pretendere l’orgasmo dal marito
Affrontare il nodo dell’incontro di civiltà partendo dai temi della sessualità è una scelta coraggiosa e controcorrente, di questi tempi. «È vero, la questione del piacere sensuale è scottante. Ho ricevuto critiche da parte di alcuni fanatici per il solo fatto di aver accostato il termine “Islam” alla parola “love”. Ma questo non ha nulla a che fare con ciò che insegna il Corano» dice Rania. Il testo sacro dell’Islam valorizza la sessualità ed esalta anche il piacere femminile, ma solo all’interno del matrimonio. La moglie ha diritto a pretendere l’orgasmo dal marito e, in caso contrario, può ottenere il divorzio. Sulla liceità delle pratiche sessuali c’è un vivace dibattito tra i teologi musulmani. Se tutti concordano sul fatto che il sesso anale sia “haram”, cioè proibito, ci sono opinioni diverse sull’ammissibilità della masturbazione. «Il fatto» spiega Rania «è che negli ultimi anni si è affermata una certa scuola di pensiero di influenza wahabita (una corrente ultraconservatrice dell’Islam, ndr) che propaganda una visione bigotta e repressiva del corpo femminile. Desiderio e piacere, però, non possono essere negati a lungo andare». Le nuove generazioni saranno capaci di trovare un equilibrio tra l’anima araba e quella occidentale? «Sì, sono sicura che per i miei figli sarà più facile che per me, hanno identità più fluide».