Il cantate e pianista di Urbino Raphael Gualazzi, classe ’81, torna a Sanremo con un brano travolgente che farà ballare tutti. Carioca è il primo tassello del suo nuovo percorso alla ricerca della contemporaneità, grazie a produttori a cui il cantautore si è voluto affidare per veder nascere le nuove canzoni dell’album in uscita il 7 febbraio. Si chiama Ho un piano, titolo che sottolinea le sue idee chiare sul percorso iniziato tanti anni fa e che gli ha già regalato nel 2011 il primo posto tra i giovani con Follia d’amore e nel 2014 un secondo posto tra i big con Liberi o no. Nella serata delle cover canta E se domani (Fausto Cigliano e Gene Pitney, 1964)
Bentornato.
Sono molto felice perché dopo quattro anni di assenza mi sono reso conto che il mondo musicale è molto cambiato e per questo motivo ho scelto di collaborare con produttori di diverse scuole, per andare alla ricerca di una commistione che mi rappresentasse. Ci sono riuscito.
Cercavi un nuovo posizionamento?
No, il mio percorso è sempre stato crossover, ma devo far conto con una realtà italiana dove la musica che mi ha ispirato, dal jazz al blues, non fa parte della trasmissione mainstream. La percezione del mio progetto all’estero si inserisce in ambiente jazz, mi inviano nei festival. Qui sono un artista pop influenzato dal soul e dal jazz… Ho sentito il bisogno di spiegarmi attraverso la commistione con determinati generi musicali. Attraverso questo canale posso trasmettere, durante il live, i miei amori più grandi e rivisitare gli autori e gli stili che mi interessano.
Cosa ti è piaciuto?
La bellezza che ho trovato nella musica elettronica. Sono un musicista e nasco come musicista. Ogni chance per poter affrontare me stesso in una nuova sperimentazione mi piace.
Ci racconti Carioca?
Carioca è l’abitante di Rio de Janierio. Il titolo non è didascalico ma restituisce un esotismo e si fonde con le sonorità della salsa. Pianisticamente si chiama montuno, la sonorità tradizionale sud americana. Questi elementi uniti alle sonorità urban si sposano con la filosofia di vivere alla giornata. Festeggio la musica, che infatti comanda sul testo. È la descrizione di come spesso e volentieri il ritmo e il ballo siano il riparo di un cuore spezzato.
Quante ore suoni al giorno?
Quando sono a casa posso stare anche mattina e pomeriggio al piano, senza problemi. Anche sei o sette ore. Ma quando sono in tour certo ho il pianoforte elettrico anche in stanza, quasi fosse una fidanzata da portare con me, ma suono meno. Lo tengo a portata di mano se mi vengono idee.
Oltre alla musica cosa ti piace?
Mi piace la corsa. Ad aprile dell’anno scorso ho fatto 14 chilometri nella Run for Science a Verona, dove risiedo da tre anni.
Perché Verona?
Cercavo un posto che non fosse troppo lontano da Milano, città in cui non ho ancora avuto il coraggio di trasferirmi. Cambio spesso città, dopo un po’ mi annoio.
Di cosa?
Della lingua. Del suono di un dialetto. Ho voglia di sentire luoghi comuni diversi. Di vedere altri paesaggi. Se ti abitui a qualcosa non ti manca. E se non ti manca non ti piace.
Come affronti questo Festival?
Alla quarta partecipazione vivo tutto con grande piacere. Il mio approccio non è mai competitivo, sono conscio di approfittare di questa bellissima vetrina per presentare il mio nuovo progetto. Sono felice di poter parlare delle mie canzoni. Di mettere anche una luce sul jazz.
Difetti?
Non riesco a trovarne. Lo guardano tutti.
Hai canzoni del cuore, legate al Festival?
Si può dare di più, di Tozzi, Ruggeri e Morandi. Nel blu dipinto del blu, anche se non ero nato. E Luce (Tramonti a Nord Est) che porto come cover.
Dopo Sanremo?
Avrò l’anteprima del nuovo tour tra aprile e maggio, con sette musicisti sul palco.