Red Canzian è un ex Pooh. La band lo chiamò nel 1973 per sostituire il bassista, Riccardo Fogli. Era il 1990 quando proprio al Festival (ma non a Sanremo!) il gruppo vinceva con Uomini Soli. La lunga e felice carriera della band italiana dai mille successi si è conclusa con un ultimo concerto il 30 dicembre 2016 e Red (all’anagrafe Bruno), riparte ora da solo dal palco del Festival di Sanremo con un brano che colpisce per la sua grande energia. Ognuno ha il suo racconto è una sferzata di rock che si inserisce nel suo lavoro da solista, Testimone del tempo. Entrambi i titoli lasciano a intendere quante cose siano state vissute e siano ancora da raccontare. Lo farà anche live dal 4 maggio nei teatri italiani.
Ognuno ha il suo racconto, se dovesse dare un titolo al suo, di racconto?
È la storia che tutti i ragazzi che hanno amato la musica vorrebbero un giorno poter raccontare… Sono qui, ho vissuto momenti incredibili, anche tra le salite e le discese inevitabili in una vita, soprattutto se piena di eventi come è stata la mia. Ma ho ancora tutta quella passione che, poco più che bambino, mi ha fatto scegliere il mestiere più bello del mondo, quello della musica. Sant’Agostino diceva che “chi canta prega due volte”, e io ringrazio il cielo di aver cantato e pregato tanto… e spero di farlo ancora per molto. La mia vera casa è il palcoscenico.
Testimone del tempo è il nome dell’album, qual è il rimpianto più grande?
Si rischia di essere ingrati a lamentarsi, dopo una vita come la mia, anche se qualcosa non fosse andato come uno avrebbe voluto. Per la musica, io, come i miei compagni di questo lungo viaggio, abbiamo sicuramente rinunciato a qualcosa. Siamo stati più sul palco che in famiglia, magari, come fanno tutti, a veder nascere, crescere i propri figli, o per riuscire a dare l’ultimo saluto a un genitore che ti lascia per sempre. Quante assenze… ma i conti si devono fare alla fine, e tutti i dolori e i sacrifici sono stati ampiamente ricompensati da un pubblico straordinario che non ci ha mai lasciato, e non lo fa nemmeno ora!
Il suo è il brano più rock di questo Festival, ne va fiero?
Oltre che rock mi auguro che piaccia! Sono fiero di tutto questo mio nuovo progetto, nella sua interezza. L’album che uscirà il 16 febbraio si intitolerà Testimone del tempo, frase che ricorre in vari brani, proprio per un concept che ho seguito nella narrazione. Ho lavorato con grandi amici, per quanto riguarda i testi: Ivano Fossati, Ermal Meta, Renato Zero, Enrico Ruggeri, Fabio Ilacqua, Vincenzo Incenzo e Miki Porru, con il quale ho appunto scritto il brano di Sanremo.
A chi dedica questo nuovo inizio?
Di sicuro a mia moglie Bea, sempre presente e solido riferimento per tutto quello che faccio, e ai miei figli, Chiara e Phil, presenti nel progetto rispettivamente come vocalist e batterista-arrangiatore. Loro mi sono sempre vicini e, da loro, mi sento sempre amato e protetto.
Quanta emozione c’è nel salire su quel palco da solo?
Te lo dirò quando succederà… Per ora cerco di vivermi questo Festival come una grande occasione per annunciare il mio rientro dopo oltre un anno di silenzio, dalla chiusura dei Pooh. Certo, mi sembrerà strano entrare da solo, ma credo che le prime note della mia canzone riporteranno ogni emozione al posto giusto.
Che effetto le fa che ci siano i suoi compagni di viaggio Fogli e Facchinetti in gara con lei, cosa vi direte dietro le quinte?
Minimo ci faremo gli in bocca il lupo, e io, da buon vegano risponderò “viva il lupo”. A parte gli scherzi, capisco che possa essere sembrato strano, ma alla fine siamo uomini e artisti singoli, con tutto il diritto di seguire le proprie carriere individuali.
Il ricordo più forte legato all’Ariston?
Da spettatore, l’anno che Sting presentò il suo primo album da solista, atmosfera pazzesca. Io, personalmente, ci sono stato solo come superospite con i Pooh, o a fare dei concerti normali, fuori dal festival… ma ho un ricordo carino, di quella volta che ci venni come produttore: esattamente 30 anni fa portai il coautore del mio brano sanremese, Ognuno ha il suo racconto, Miki Porru, al Festival, in gara tra i giovani, con il brano Straniero. Arrivò secondo. La cosa che, ora può sembrare buffa, ma quella sera fece disperare più di qualcuno, è che al momento della premiazione, Pippo Baudo chiamò varie volte sul palco Miki, ma lui non si presentò mai, perché… era andato a rincorrere Paul McCartney, quell’anno superospite, per farsi fare l’autografo! Noi, come Pooh, il Festival di Sanremo, nel ’90, lo abbiamo vinto sì, ma non all’Ariston, bensì al Mercato dei Fiori di Arma di Taggia. Quell’anno si svolse lì… per cui, per il ricordo più forte legato all’Ariston, ci sentiamo dopo il Festival!
Il suo posto preferito di Sanremo?
Amo il mare e quindi il porto, con i suoi tramonti. Ho avuto un amico, anni fa, che teneva la sua grande barca qui, giù al porto e sono venuto spesso a trovarlo.
C’è un oggetto portafortuna o un pensiero particolare, prima di salire sul palco?
Non credendo alla fortuna non credo nemmeno alla sfortuna. Prima di andare sul palco cerco solo di stare concentrato, di non avere confusione intorno. Il nostro è un lavoro serio, anche se pochi lo sanno e in molti, artisti compresi, fanno di tutto affinché non sia così.
Il numero massimo di interviste che vorrà fare al giorno?
Tre al giorno me le gestisco bene… come avrai capito, mi piace parlare!
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