La morte della Regina Elisabetta
The Queen is dead. Quando è uscito il primo comunicato, giovedì 8 settembre, io stavo mangiando melanzane e il mondo si è fermato. La nota di Buckingham Palace diceva soltanto: «I medici preoccupati per la salute di Sua Maestà raccomandano che rimanga sotto stretto controllo medico». Ma nel linguaggio minimalista della Corona significava: ci siamo.
Carlo III sarà incoronato e Camilla regina consorte
Carlo e Camilla, Anna, William, Andrea, Edoardo e Sophie sono corsi al capezzale, e pure Harry – casualmente a Londra per impegni suoi – ha preso un aereo (però da solo). Il secondo comunicato, 6 ore dopo, annunciava l’avvenuto sereno trapasso di Elisabetta II nel pomeriggio a Balmoral, il suo castello preferito. L’aereo di Harry non era ancora atterrato: era già cominciato il regno di Carlo III e Camilla, regina consorte.
Madre anaffettiva, suocera crudele, sovrana implacabile
In quelle 6 ore la storia è rimasta ferma, il tempo sospeso nell’attimo prima di un capovolgimento. Elisabetta era regina dal 6 febbraio 1952: 70 anni e 214 giorni, più di lei solo Re Sole (che partiva avvantaggiato, incoronato a neanche 5 anni).
Da Winston Churchill a Meghan Markle, ha attraversato la riconciliazione con la Germania e il nichilismo punk – «God save the Queen, non è un essere umano e non abbiamo futuro», cantavano i Sex Pistols. Ha visto l’Impero britannico sgretolarsi e ha tenuto insieme il Commonwealth come un’equilibrista sulla corda. Ha litigato con Margaret Thatcher – per le sanzioni al Sudafrica ai tempi dell’Apartheid – e fatto pace con Martin McGuinness, leader repubblicano dell’Irlanda del Nord ex combattente dell’IRA, il braccio armato responsabile dell’omicidio di Lord Mountbatten, lo zio di Filippo. Ma per la maggior parte dei viventi oggi – la maggior parte di quelli che alla notizia hanno sentito il mondo trattenere il fiato – Elisabetta è stata soprattutto la madre anaffettiva di Carlo, la suocera crudele di Diana, la sovrana implacabile che non tollerava lamentele, scuse o spiegazioni. E allora cosa abbiamo da frignare?
Tutto è cambiato dalla morte di Diana
Nel 1992 nessuno avrebbe potuto immaginare una partecipazione tanto commossa alla sua morte, 30 anni dopo. A parte lei. Nel famoso discorso dell’annus horribilis – Andrea si separava, Anna divorziava, Carlo si faceva intercettare al telefono con Camilla, Diana raccontava al suo biografo di infelicità coniugali, persino il castello di Windsor preferiva andare in fiamme – a un certo punto avverte: «Nessuna istituzione è esonerata dallo scrutinio dei sostenitori, figuriamoci degli avversari. […] Oso pensare che la storia avrà una visione leggermente più moderata di quella dei commentatori contemporanei». Nel linguaggio minimalista della Corona significava: prima o poi lo capirete che ho sempre avuto ragione io.
Il permesso di separarsi a Carlo e Diana e l’apertura del Palazzo
Se chiedo alle mie amiche quand’è che abbiamo iniziato a ricrederci sul conto di Elisabetta, mi rispondono con uno dei tanti trionfi degli anni 10: il matrimonio di William e Kate, le Olimpiadi di Londra perfettamente abbinate al giubileo di diamante, la nascita dei pronipotini. Ma quello è stato il gran finale. La missione di riconquista del Regno Unito – e poi del mondo – comincia proprio con quel discorso lì. Subito dopo, Carlo e Diana ricevono il permesso di separarsi, la regina accetta di pagare le tasse sui redditi privati, Buckingham Palace viene aperto ai turisti per finanziare la ricostruzione di Windsor. Cambiano le regole di ingaggio tra monarca e sudditi: senza lamentarsi, senza spiegare, senza chiedere scusa, Elisabetta ridefinisce la dinamica del suo potere.
Da Diana in poi la Regina è diventata nonna della patria
Ma quando Diana muore, nel 1997, lo scollamento tra realtà e privilegio dinastico pare ancora irrimediabile. La regina non condivide lo sgomento isterico per le strade, però capisce che è di nuovo tempo di concedere: con un cambio di passo – giusto un filo riluttante – accoglie il trauma collettivo per ragioni di Stato e amore dei nipoti. Ai soliti sprovveduti commentatori contemporanei sembra una resa, ma per Elisabetta conta solo il lungo termine: inizia la metamorfosi in (precedentemente) immortale nonna della patria. Laburisti e conservatori, repubblicani e punk: tutti, l’8 settembre nel pomeriggio a Balmoral, hanno perso un pezzetto di sé.
Il 2022 è l’anno catastrofico per la monarchia
Stabilità, discrezione, misura. Nonostante sia nata 3 mesi dopo l’invenzione della tv e sia morta in streaming, Elisabetta ha lasciato trapelare pochissimo di sé. Rispetto a Carlo aveva un vantaggio: è diventata regina così presto da non essere mai stata altro, almeno in pubblico (a parte l’amore ostinato per Filippo). Per un signore di 73 anni spesso scarnificato dalla stampa – e con una qual tendenza a esprimere opinioni – sarà più laborioso mantenere un piglio altrettanto equidistante da tutto, e però vicino a ognuno. Se il 1992 è stato un anno orribile, il 2022 rischia di essere catastrofico: la crisi climatica, la guerra in Europa, le conseguenze della Brexit, il fantasma della pandemia. E una famiglia reale da riformare, ché Carlo non ha certo la tolleranza di sua madre per i capricci di Harry né per i crimini di Andrea.
Arriva Camilla
E stabilità, discrezione e misura sono doti precipue di Camilla. Grazie alle quali, in 30 faticosissimi anni, è passata dall’essere chiamata «Rottweiler» al titolo di regina consorte, con la benedizione esplicita della sovrana da viva. Per la cerimonia di incoronazione bisognerà aspettare, ma non c’è fretta. Perché non è l’amore, non è il rango, non è la popolarità e neanche l’ironia (però aiuta): è la pazienza che vince su tutto. L’eredità più autentica di Elisabetta.