Rino Gaetano era nato a Crotone nel 1950, dall’età di nove anni si era stabilito a Roma (nel popolare quartiere di Monte Sacro). Incise il primo 45 giri nel 1973, ma il successo arrivò soltanto due anni dopo con la canzone: “Ma il cielo è sempre più blu”.

Dissacrante a Sanremo nel ’78

Da quel momento la fama di Rino Gaetano crebbe e si affermò in maniera definitiva con la partecipazione al Festival di Sanremo del 1978. Il brano in gara era “Gianna” e lui si presentò sul palco in frac e tuba, ma con le scarpe da ginnastica e una maglietta a righe da gondoliere. È il suo modo di divertirsi e divertire il pubblico, ma anche smontare il rituale serioso del festival. Su YouTube è possibile rivedere quei tre minuti ed è impossibile non sorridere alla sua esibizione.

Il suo scherzo più bello

Per darvi un’idea del personaggio, mi piace raccontare quello che mi disse una volta il deejay di una radio romana. Mi confidò che all’epoca delle canzoni a richiesta, un ragazzo lo chiamava tutti i giorni in radio per richiedere “Ma il cielo è sempre più blu”. Allora un giorno il deejay, stufo di mettere sempre lo stesso disco, gli domandò: “Ma ti sei proprio innamorato di questo Rino Gaetano?” E lui rispose: “Sono io”.

L’incidente

Un pomeriggio sono andato a vedere il luogo dell’incidente avvenuto 35 anni fa, alle 3.55 del 2 giugno 1981. È sulla via Nomentana: una strada larga, a tre carreggiate, tutta fiancheggiata da vecchi platani. L’unica traccia che ricorda il fatto è la foto a colori di Rino, sbiadita dalla pioggia, appiccicata alla corteccia di un platano.

Ai piedi dell’albero c’è un vasetto di plastica con i fiori. È di Anna Gaetano, la sorella che non ha mai smesso di occuparsi del fratello. Una scritta a terra dice: Rino vive. La frase invece che accompagna la foto è tratta da una sua canzone: “Se mai qualcuno capirà, sarà senz’altro un altro come me”.

Accanto all’albero c’è la fermata degli autobus. Ci passa ancora il 60 (citato nella canzone “Tu, forse non essenzialmente tu”). Chissà quante volte Rino lo avrà preso per andare in centro o tornare a casa. Abitava con i genitori a via Nomentana Nuova 53, a neanche due chilometri dal luogo dell’incidente.

Ma torniamo a quella notte. Siamo su via Nomentana, alla fine di una curva, subito dopo l’incrocio con via Carlo Fea, Rino guida la sua Volvo 343. Sta tornando a casa dopo una serata passata prima a cena con gli amici e poi in giro per i locali. Improvvisamente si trova davanti un camion Fiat 650.

È stanco? Ha bevuto? Cosa succede dopo aver oltrepassato l’incrocio? Un colpo di sonno, un collasso?

Il camionista racconta che ha suonato il clacson, perché l’auto di Rino sbandava e gli veniva contro. Secondo la sua testimonianza il cantautore aveva la testa appoggiata al volante. Riaprì gli occhi solo un momento prima dell’impatto, ma troppo tardi per riprendere il controllo dell’auto.

L’impatto è micidiale. Rino sbalza in avanti e sfonda il parabrezza con la testa. Vengono chiamati i soccorsi. Un’ambulanza lo trasporta all’ospedale più vicino, il policlinico “Umberto I”. Le sue condizioni sono disperate.

Per salvarlo è necessario un reparto di traumatologia cranica, quello del Policlinico è fermo da mesi. Il medico di turno telefona a tutti gli ospedali di Roma che hanno la neurotraumatologia operativa, ma non riesce a trovare un posto libero.

Undici anni prima Rino aveva scritto una canzone intitolata “La ballata di Renzo dove il protagonista ha un incidente stradale, tutti gli ospedali lo rifiutano e lui muore. E verso le sei del mattino, proprio come Renzo, anche Rino muore.

All’anagrafe Salvatore Antonio, a casa per tutti è Salvatorino, ma la sorella già lo chiamava Rino. Lui era un ragazzo semplice, allegro, pieno di vita, che il successo non aveva cambiato. Abitava con i genitori, ma aveva comprato una casa a Mentana e presto avrebbe dovuto sposarsi con Amelia Conte. Il matrimonio si doveva svolgere nella chiesa del Sacro Cuore di Gesù, vicino alla stazione Termini. E invece lì venne celebrato il suo funerale. Sepolto inizialmente nel piccolo cimitero di Mentana, verrà poi trasferito al Verano.

Ed ecco il mito

Una mattina sono andato a vedere dove si trova il suo loculo. Il cimitero del Verano è immenso e ho faticato non poco a trovarlo, nonostante sapessi la collocazione. Mi ha aiutato un adesivo che ritrae il volto inconfondibile del cantautore. Rino è dentro una cappella comune che stringe il cuore, quasi al buio. La sua lapide è semplice con una grande foto, piena di fiori e scritte fatte con il pennarello.

Davanti alla lapide c’è un tavolino con altri fiori, una foto di Rino incorniciata, un posacenere, una bottiglietta d’acqua, un quaderno e delle penne per chi vuole lasciargli un messaggio.

Un ragazzino ha scritto: “Ciao Rino, mi chiamo Giacomo, ho 11 anni e ascolto sempre le tue canzoni. Quando te ne sei andato io non ero nato, ma quando ascolto le tue canzoni mi sembra che tu sia ancora vivo”.

Sono rimasto un po’ lì e dopo un minuto sono arrivati due ragazzi, si sono fermati davanti alla lapide di Rino e hanno baciato la sua foto. A quanto ne so è un pellegrinaggio continuo di giovani che vengono a trovarlo, spesso ragazzi non ancora nati quando lui era già morto.

Rino Gaetano oggi è un mito, nessuno mette più in dubbio il suo talento artistico. Le cover band che rifanno le sue canzoni sono tantissime. Ogni suo brano trasmette ancora grandi emozioni, e forse più adesso di allora. Perché Rino era avanti con i tempi, e molti non lo capivano. Sono dovuti passare parecchi anni prima che gli venisse tributato il giusto riconoscimento. Ma a volte la gente è strana, e come direbbe Rino: “Escluso il cane, non rimane che gente assurda”.

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– Foto sbiadita di Rino Gaetano

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