Ho vissuto abbastanza a lungo da ricordare i tempi in cui Robert Redford non era solo un attore, ma anche l’unità di misura dell’avvenenza maschile. «Chi ti credi di essere, Robert Redford?» chiedevamo sarcastiche al fidanzato che passava troppo tempo davanti allo specchio. «Non è certo un Robert Redford» dicevamo dell’amico le cui potenzialità estetiche rimanevano inespresse. Solo un altro attore era riuscito a fare altrettanto: Paul Newman, che però esibiva broncetto infantile e un’aria sofisticata che mal si confaceva alle fantasie erotiche che dedicavamo alla mascella volitiva e allo sguardo sprezzante del Nostro (e poi era così noiosamente monogamo!).
Il fatto è che Robert Redford, ancora prima di essere un attore è un archetipo: il tipo di uomo che passa dall’essere giovane (A piedi nudi nel parco, 1967) all’essere anziano (Le nostre anime di notte, 2017) senza mai diventare vecchio, anzi, mantenendo inalterate quelle caratteristiche che ci avevano fatto innamorare – zazzera rossa e lentiggini incluse – risultando un seduttore plausibile persino nella malmostosità della terza età (nel suo caso, della quarta). Ci sono uomini e donne che sanno invecchiare.
Riuscirci non è scontato, specialmente se si è stati sfrontati – ancorché bellissimi – o se si è stati compassati e algidi come Hubbell Gandiner di Come eravamo (1973). Si corre il rischio di farsi prendere la panico trasformandosi nella parodia di ciò che si è stati, come è successo a Mickey Rourke, o quello di perpetrare all’infinito lo stesso ruolo, com’è accaduto a quel mattacchione disfunzionale di Jack Nicholson che di Redford è coetaneo.
Ma invecchiare in souplesse rimanendo fedeli alla propria età senza mascherarla («Assecondando la propria evoluzione» direbbe la collega Jane Fonda) e continuando a sedurre grazie al caleidoscopio di esperienze e di emozioni che questa regala, be’, questo è prerogativa di pochi. In Italia solo Gianni Morandi ci riesce, eppure nemmeno lui è immune da ironie per la cofana insolitamente castana e gli atteggiamenti da supergiovane.
Dunque, quando Robert Redford ha annunciato il suo ritiro dalla carriera da attore (ma lo aveva già fatto anni prima, e comunque ha lasciato intendere che si riserva il diritto di ripensarci), la decisione mi è sembrata coerente con la sua capacità di andare in controtendenza al giovanilismo imperante che ci vuole desiderabili e perfomanti a ogni età.
«A questo punto della mia vita, passata la boa degli 80 anni, dirigere, produrre e dipingere è quello che mi dà più soddisfazione. E lo sa perché? Perché così facendo non devo dipendere da nessuno. Più mi avvicino al tramonto della mia vita, più anelo essere libero e non dover rendere conto di niente a nessuno» ha dichiarato a un costernato giornalista dell’Entertainment Weekly.Per quanto mi riguarda, da oggi Robert Redford segna una nuova unità di misura: quella della vecchiaia più interessante di sempre.