«Ciao Rula, sei a New York?». «No, sono a Washington» mi risponde con l’entusiasmo che le appartiene. «Sono andata ieri sera alla cena dei corrispondenti alla Casa Bianca, ed è stato bellissimo. Non si faceva da 6 anni: prima perché Donald Trump non sopportava i reporter, li considerava nemici; poi perché è arrivato il Covid. Finalmente ieri abbiamo ripreso questa bella abitudine e Joe Biden era di ottimo umore. Ha esordito con una battuta: “Era ora che fossi in una stanza con l’unico gruppo di persone meno popolare di me… I giornalisti”».
Chi è Rula Jebreal
Ne ha fatta di strada Rula Jebreal, palestinese di nascita, finita a 5 anni in un orfanotrofio di Gerusalemme dopo la morte della madre. Ormai vive da anni negli Stati Uniti, dove all’università di Miami tiene un corso su “Propaganda e genocidi”. È spesso ospite sulle reti televisive come commentatrice politica, scrive per i giornali americani, dal New York Times al Washington Post, produce e realizza documentari, si batte per i diritti delle minoranze.
La lotta contro le discriminazioni e le violenze
Driving While Black è il documentario che Rula Jebreal ha prodotto lo scorso anno, diretto da Gretchen Sorin e Rick Burns, dopo la morte dell’afroamericano George Floyd per mano della polizia. Una grande testimonianza storica su quanto sia stato pericoloso per i neri al volante avere a che fare, negli anni, con le forze dell’ordine negli Usa. «La narrazione per immagini è potente, può raggiungere anche quelle persone che non leggono i giornali» nota Rula. «Il cinema ha la capacità di risvegliare le coscienze. L’ho capito con questo documentario che parla del razzismo subito dai neri d’America, e prima ancora con Miral, il film tratto dal mio romanzo del 2010 che racconta le battaglie di tre generazioni di donne palestinesi».
La lotta contro le discriminazioni e le violenze è ciò che sta più a cuore a Rula Jebreal, avendo vissuto in prima persona una terribile ferita. La madre Nadia si diede fuoco perché non era mai riuscita a convivere con il trauma dello stupro subito a 13 anni da parte del patrigno. Lo ha raccontato al Festival di Sanremo nel 2020, in un monologo struggente da cui è nato il libro Il cambiamento che meritiamo (Longanesi), uscito alla fine dell’anno scorso. Un memoir che è denuncia delle disparità di genere e invito a lottare, donne e uomini insieme, per una vera eguaglianza dei diritti.
Il Riviera International Film Festival
Adesso Rula sta per tornare in Italia, dove è presidente di giuria del Riviera International Film Festival, a Sestri Levante dal 10 al 15 maggio, una rassegna cinematografica indipendente che cerca di valorizzare giovani registi under 35 da tutto il mondo. E in quest’occasione riceve il Premio Speciale Human Star.
«I premi mi imbarazzano. Impegnarmi per chi soffre nelle zone di guerra è diventata la mia missione. Vengo da una terra tormentata, ho visto le vittime dei conflitti e delle dittature, le sofferenze delle donne, dei bambini, dei rifugiati. Gli anni trascorsi in orfanotrofio, fondato e diretto da una grande donna attivista dei diritti umani come Hind al Husseini, mi hanno insegnato che bisogna servire gli altri. Noi potevamo studiare grazie a Hind, che ci portava anche a visitare i campi profughi e ci spiegava che si deve fare qualcosa per chi è meno fortunato. Io oggi sono una donna libera e ho il privilegio di poter aiutare».
Aiutare le donne a conquistare la libertà
Infaticabile e determinata, Rula Jebreal lo fa attraverso le borse di studio – 20 finora – che è riuscita a offrire a ragazze siriane, palestinesi e libanesi insieme alla American University of Rome e alle donazioni di persone generose che non girano la testa dall’altra parte. «L’istruzione è l’arma più potente, il biglietto di ogni donna per la libertà. Ora stiamo cercando una giovane afghana per offrirle di partecipare a un master totalmente gratuito che partirà a settembre. Non è facile perché la situazione in Afghanistan è terribile, ma ci riusciremo. Ti lascio il link… Provaci anche tu». Rula Jebreal è così, un vulcano di idee e di passione che ti trascina nel suo vortice.
Me lo ha insegnato la direttrice dell’orfanotrofio in cui sono cresciuta: l’istruzione è l’arma più potente, il biglietto di ogni donna per la libertà.
«Ci sono anche le ragazze ucraine da aiutare» aggiunge, e diventa inevitabile che la conversazione si sposti sul conflitto che sta dilaniando il mondo e le coscienze. «L’80% degli americani è a favore degli aiuti agli ucraini» mi racconta. «Qui le persone sono sensibili alla disinformazione fatta dalla Russia dai tempi della corsa per la Casa Bianca tra Donald Trump e Hillary Clinton nel 2016, quando erano stati violati i computer del Partito Democratico. Io ho visto con i miei occhi cosa è stato capace di fare Putin ad Aleppo in Siria» dice, ricordando le bombe lanciate dal regime di Assad e dai suoi alleati russi contro i civili. E poi, il dramma degli stupri. «In guerra sono usati come armi, per fare pulizia etnica. Lo stupro è un atto di dominio, di potere. E il corpo delle donne diventa il campo di battaglia. Succede ogni volta».
Rula Jebreal è molto critica su come una parte della tv italiana sta raccontando il conflitto. «Mi addolora vedere come alcuni giornalisti in Italia stiano amplificando la propaganda di Putin. Si stanno giustificando crimini contro l’umanità e in certi momenti pare di guardare la tv russa». Le faccio notare che mai come in questa guerra la stampa occidentale sia schierata con uno dei contendenti, l’Ucraina. «È vero, la stampa occidentale è schierata, ma in Italia vedo spesso una distorsione dell’informazione a favore della spettacolarizzazione».
Si infervora, Rula Jebreal, quando parla dell’Italia, che ama e di cui conosce i pregi ma anche i difetti. Qui vive sua figlia Miral, avuta a 23 anni. Che Paese sogni per lei? «Un Paese più inclusivo e democratico. Negli Stati Uniti c’è razzismo, ma c’è anche inclusione e solidarietà. I musulmani si sentono americani. Auguro a mia figlia di sentirsi e di essere libera. Sempre».
IL LIBRO
Foto di Pablo Costanzo