«U’ mari unn’avi né chiese né taverne». Il mare non ha né chiese né taverne. E col mare inizia L’inverno dei leoni (Editrice Nord) di Stefania Auci, il secondo episodio della saga dei Florio. La fortuna – non solo letteraria – di questa famiglia nasce infatti col mare. Dal mare arrivano nel 1799 a Palermo, emigrati da Bagnara Calabra, Paolo e Ignazio Florio. Commerciano in spezie e aprono la loro Aromateria in via dei Materassai.
Chi ha letto il primo volume, I leoni di Sicilia (650.000 copie vendute solo in Italia e oltre 100 settimane in classifica), sa che hanno dovuto lottare per affermarsi, combattere i pregiudizi e la concorrenza. Stringere i pugni e i denti per togliersi di dosso la miseria, il disprezzo degli aristocratici, gli sguardi diffidenti e quell’epiteto di “facchini” il cui sangue “puzza di sudore”. Ci sono riusciti col lavoro e i soldi. Costruendo a poco a poco un impero col commercio dello zolfo, acquistando case e terreni dai nobili spiantati, producendo un marsala famoso in tutto il mondo, creando una compagnia di navigazione.
«Il mare è sempre presente. Non puoi toglierlo a un siciliano» mi racconta Stefania Auci mentre corre verso una delle librerie più importanti di Palermo per il firmacopie di questo nuovo affascinante episodio. «Per i Florio rappresenta l’inizio e la fine perché la loro ricchezza e identità sono legate al mare. Nel momento in cui viene meno il loro potere che derivava dalla Navigazione Generale Italiana (la flotta di navi che gestiva i trasporti nel Mediterraneo, ndr) e dalle attività commerciali, è come se la famiglia si spersonalizzasse».
Nel primo romanzo della saga, Stefania Auci raccontava l’ascesa e il riscatto sociale dei Florio, spiegando come due immigrati e i loro discendenti fossero riusciti a diventare ricchissimi e rispettati. Nel secondo, L’inverno dei leoni, c’è la fine. «Un romanzo esattamente simmetrico e opposto al primo: dall’essere tutto all’essere niente» spiega la scrittrice siciliana. Ma come è potuto accadere? Addentrandosi nelle pagine si scoprono i personaggi, i loro rapporti, i loro caratteri, le loro forze e debolezze. Tuffandosi anche nel periodo storico in cui si muovono, nell’Italia che si sta facendo.
Nel primo volume arrivavamo appena dopo l’Unità d’Italia, il secondo si apre nel 1868 con la morte di Vincenzo, il visionario, quello che dalle spezie era riuscito a fare impresa: aveva portato le macchine dall’Inghilterra, aveva comprato la tonnara e introdotto la lavorazione del tonno sott’olio (fino ad allora si conservava sotto sale), si era impegnato per produrre un vino marsala che finisse sulle tavole dei re, aveva costruito una villa grandiosa e un impero economico e finanziario.
«Era dotato di intuizione» dice Auci. Con la sua morte tutto passa nelle mani del figlio 30enne Ignazio, anche lui cresciuto col culto del lavoro e che 2 anni prima aveva sposato una baronessa, portando sangue nobile nella famiglia. Ignazio prosegue il successo, diventa senatore, a Favignana fa costruire un sontuoso palazzo in stile liberty. Suo figlio, Ignazio jr, che a soli 20 anni si trova a guidare l’impresa è però quello attorno a cui Casa Florio comincia a sgretolarsi. Siamo in piena Belle époque, Ignazio jr vuole divertirsi, compra panfili e gioielli, fa viaggi da sogno e organizza feste e ricevimenti, fa delle scelte sbagliate, gli affari vanno male. «Ma il crollo dei Florio non dipese tutto da loro. La situazione politica, economica e sociale era cambiata in modo radicale. Scompaiono i grandi protagonisti che avevano fatto la storia d’Italia. Quella intellighenzia che veniva in larga parte dal Centro e dal Sud. Morendo queste persone, il timone del potere passa agli imprenditori del Nord e a quella classe politica che ne faceva gli interessi».
Grande importanza hanno le figure femminili: prima Giuseppina, che rinuncia all’amore per l’onore della famiglia, poi Giulia, la giovane milanese che rimane accanto a Vincenzo fino alla fine e ne diventa il porto sicuro.
Nel secondo romanzo è la volta di Franca Florio, la moglie di Ignazio jr, la più famosa, considerata una delle donne più belle del mondo, ammirata da Puccini e D’Annunzio, invitata alle corti europee, donna moderna, intelligente e scaltra. «Di lei si sa di più» mi spiega la Auci, «per esempio attraverso la biografia scritta da Anna Pomar nel 1985». Ma tutta la ricostruzione della famiglia è frutto di un accurato lavoro di documentazione iniziato nel 2015, attraverso testi, lettere, ricerche su Internet e negli archivi del Corriere della sera spulciando gli articoli usciti alla fine del 1800 e agli inizi del 1900, «perché grazie alla la cronaca riesci a capire certi aspetti delle persone».
Così, dice la Auci, nel secondo romanzo i personaggi per l’80% sono veri, mentre nel primo, non essendoci abbastanza materiale documentato si era concessa più libertà. «Tutte le figure che compaiono sono realmente esistite, così come i fatti. Romanzato è il modo in cui vengono posti. Anche nello studio degli abiti delle figure femminili ho fatto un lavoro di ricerca perché fossero il più possibile corretti e coerenti. Il carattere, gli aspetti, i dialoghi, la privacy ovviamente sono oggetto di fantasia. Per esempio, la litigata tra Ignazio jr e Franca per uno dei tanti tradimenti è inventata. Ma che i due avessero un rapporto piuttosto burrascoso, è un dato di fatto. Poi è stato divertente spulciare il manuale per signorine Il saper vivere di Matilde Serao, per capire come si comportavano all’epoca ».
Una vera sorpresa anche la ricostruzione sul fronte economico: «Ancora adesso non ci si aspetta che al Sud possano esserci questo tipo di storie e di eventi legati alla capacità imprenditoriale». Intanto, la saga dei Florio è già stata opzionata per una serie tv, «perché racconta la tenacia, il senso del lavoro, la capacità di tenere duro nonostante le difficoltà».