Sandra Milo e il reality di Sky
Da dove s’inizia a parlare con Sandra Milo dopo quasi 70 anni di carriera e 70 film? E poi la tv, le battaglie, gli scandali, un Grande Amore e tutti gli altri, una vita che lei ha sempre raccontato senza falso pudore ma con la grazia di una “strega bambina” (ci torneremo su) che si aggiorna ogni volta al presente anche se è cristallizzata come icona. Scelgo di usare le frasi che pronuncia lei stessa in Quelle brave ragazze, il nuovo reality in onda su Sky Uno (dal 19 maggio) in cui parte per la Spagna con le amiche Orietta Berti e Mara Maionchi, tra missioni e (soprattutto) confessioni.
Sandra Milo: le foto
Intervista a Sandra Milo
Comincio da una battuta della prima puntata: «Voglio vivere alla grande». È questo lo spirito, anche nell’imbarcarsi in questa avventura? «Certo! La vita è una cosa preziosa e non ce ne rendiamo conto. L’essere umano può fare cose straordinarie: chi le raggiunge è perché ha questo senso della vita, ne intende la grandezza».
Qual è la cosa più straordinaria della sua vita? «Amare, amare, amare! La cosa più bella in assoluto, quella che ti fa compiere imprese apparentemente inconsulte. L’amore dà una grandissima spinta, una forza, un calore…».
Lei dice: «Ho sempre osato, sempre sfidato». È questo per lei l’amore? «Sì, ma è anche un affidarsi, perché all’amore devi credere. Io di amore assoluto ne ho avuto uno solo, però talmente grande, talmente straordinario, che è stato insuperabile».
È quello che immagino? «Sì. Federico (Fellini, ndr) è l’amore assoluto. Il resto è stato passione, piacere, sensi. A volte la capacità di sognare in due, una cosa molto bella».
L’essere da sempre e per sempre legata a Fellini non è un limite? «Nooo! È una forza! Io l’ho amato e lo amo ancora, è un sentimento intramontabile che non passa, e che probabilmente andrà oltre questa vita. Federico è sempre presente, è la mia gioia. Mi ricordo la sua bontà, la sua voglia di gioco. Il piacere infinito di essere sorpresi, anche nel quotidiano, è ciò che mi ha insegnato. Certo, è meraviglioso quando la persona fisicamente c’è; ma quando non c’è più, se è stato un amore così, resta la sua forza, che ti allontana dai malesseri».
La vergogna nasce dal senso di colpa, che non ho mai provato. Ho avuto un amore assoluto: Federico Fellini. Il resto è stato passione, piacere, sensi.
C’è un tratto di Federico che le è caro e che lui non ha svelato? «Non gli piaceva che la gente si aspettasse chissà cosa da lui: grandi messaggi, lezioni di vita… Non amava la definizione di “maestro”, era un ricercatore sempre pronto a imparare».
Del sesso, dice, non bisogna vergognarsi. «E perché dovremmo? Se non avessimo questa attrazione verso gli altri, saremmo alberi che se ne stanno per i fatti loro. La vergogna nasce da una cultura sbagliata, basata sul senso del peccato, della colpa, che io non ho mai provato. Non credo nell’inferno, penso che Dio sia amore infinito: io che sono madre non potrei mai pensare di bruciare i miei figli, figuriamoci Dio i suoi. Però è vero: Adamo ed Eva furono cacciati dall’Eden, invece Caino, malgrado avesse ucciso il fratello, non fu punito. Dio lo lasciò andare… Dovrebbero punire me perché ho amato?».
«Vorrei tornare all’infanzia» ammette. Mi racconta la sua? «È stata anche tragica perché c’era la guerra, la miseria. Però allo stesso tempo avevo una madre e una nonna straordinarie, che hanno fatto di tutto per proteggerci. È stata l’età dei grandi sentimenti: le grandi paure e le grandi gioie».
«Sono nata contenta», del resto… «Sì, e con la consapevolezza che le cose dipendono solo da noi: se davvero vogliamo, possiamo salvarci e salvare le persone che amiamo. Ho partecipato alle prime rivendicazioni femministe non per sfilare con gli striscioni “Io sono mia”, ma per entrare nei tribunali, nella Chiesa stessa. Mi sono battuta in tutti i modi. Alla fine Pietro Nenni, quand’era al governo, fece votare la riforma del diritto familiare che consentiva ai figli nati fuori dal matrimonio di avere gli stessi diritti, così sono diventata legalmente madre di Deborah (la prima figlia, nata dalla relazione con Moris Ergas. Poi ha avuto Ciro e Azzurra con Ottavio De Lollis, ndr). Non so cosa vuol dire ricevere un regalo senza aver fatto niente».
Di fronte a Mara e Orietta fa un’affermazione dura: «Le donne della nostra generazione non erano pronte alla solidarietà femminile». «È vero. Sono cresciuta, come tante, in una famiglia di sole donne, mio padre partì volontario per la guerra d’Africa nel ’36. In quegli anni si era creata una sorta di emancipazione femminile, ma poi, quando l’uomo tornava dal fronte, la donna doveva riprendere il vecchio ruolo, adeguarsi di nuovo al modello maschile. Per fortuna poi abbiamo iniziato a lottare, e molte cose sono cambiate. Oggi mi piace molto che una donna possa dare al figlio il suo cognome. Anche in virtù delle battaglie che ho fatto come madre, non è una cosa di poca importanza».
Accanto alla Sandra delle lotte c’era la diva: «la nostra Marilyn» la definisce Orietta Berti. «Mi piaceva giocare, flirtare con l’obiettivo… Sono manifestazioni di energia, anche di sensualità. Volevo esserci, ecco».
C’è una cosa che non le è stata riconosciuta? «Ho fatto film bellissimi, con ruoli straordinari, ma ho avuto pochissimi premi. Non sono modesta, penso che la modestia sia una forma sottile di ipocrisia: uno sa benissimo quali sono i suoi talenti e i suoi limiti. Perciò mi è spiaciuto non ottenere certi riconoscimenti, ma non ho mai pregato per averli».
Rivede i suoi film? «No, perché ricordo le emozioni, le sensazioni… Non amo guardarmi indietro, preferisco stare nel presente. Ora sto scrivendo per Mondadori la mia autobiografia. Anzi, le chiedo: come titolo avevo pensato a La strega bambina, le piace?».
Mi pare un’ottima sintesi. E anticipa la mia ultima domanda: le avrei chiesto se si sente una “brava ragazza”, ma forse è rimasta una bambina… «Una bambina per quell’innocenza che non si perde mai, ma anche una strega perché la vita ti porta a fare cose anche brutte. Un giorno le racconterò, per dire che c’è sempre una ragione. Che non si può giudicare, ma solo comprendere».