Giovanni Giancaspro, paroliere di Molfetta, classe ’88, arriva a Sanremo per la prima volta con “terrozione”, il neologismo che unisce emozione e terrore. Canta la ballata pop Arnica, per lenire i dolori. È poeta, scrittore, cantautore, il primo libro lo ha scritto a vent’anni, l’ultimo nel 2020 con Fabbri, Se c’è un posto bello sei te e il 16 marzo uscirà la sua nuova raccolta Ci siamo fatti mare (Rizzoli). Il 12 invece il suo nuovo disco Mareducato. Nella serata delle cover porterà sul palco con sé i cantanti di The Voice Senior per rivisitare Gli Anni, di Max Pezzali. La sua consapevolezza: Ascoltare il cuore, per conoscersi.
Prima volta a Sanremo. Emozione o terrore?
Terrozione. Esiste come parola? Ti va di prenderti assieme a me la responsabilità di crearla? Credo di avere abbinati dentro me, tutta la cerchia dei sentimenti buoni, con aggiunta un notevole dose di sana paura.
Come ti stai preparando?
Faccio le prove in un bosco. Faccio finta di avere il microfono con una penna per provare le mosse. Mi sto allenando. Avrei veramente arrivare come un maestro zen. Invece sento tutta l’agitazione.
Come è nato il brano?
Il brano è nato in una maniera assurda. Stavo a Genga, dove ci sono le grotte di Frasassi, stavo arrampicando. Faccio il climber, mentre facevo una monotpresa, ho messo il dito ma ho perso la presa. Il dito è rimasto incastrato, ho rotto tutto, falange, ossa. Il tempo di essere soccorso ho scritto “e sbaglio ancora a vivere”. In quel pomeriggio, mentre i miei amici continuavano ad arrampicare, ho preso una bic e lo schotch e ho scritto il primo quattro quarti di Arnica. Nei giorni seguenti, come sempre quando vivo uno stato di depressione, come capita a tutti gli artisti, mi sono sentito creativo. Mi stavo cantando addosso questa canzone. L’avevo dentro di me, ma non potevo suonare la chitarra e io senza strumento non so scrivere. Ho comprato immediatamente una tastiera, ho fatto 12 ore di lezione al giorno per un mese e così è nata. È la prima canzone non nata dalla chitarra.
Al Festival come sei arrivato?
Non ho mai pensato a Sanremo, le mie priorità sono spirituali e sono altre. Ma il mio manager ha visto in Arnica una forza diversa dalle altre e mi hanno chiesto di poter provare. E loro erano felici, a volte bisogna dire sì anche per gli altr. L’ho fatto perché ho amato loro. Io posso cantare a Sanremo come in una secret house, l’emozione sarebbe la stessa. Sana.
Il Festival può essere l’arnica di questo periodo?
Sì, riunisce le persone in questo momento. Siamo tutti feriti, è l’occasione di poter fare qualcosa al sicuro. È un modo per ripartire. Da dove se no? Le polemiche non servono, dobbiamo unirci. Riapriranno anche i teatri, ma ora dobbiamo ripartire da qui.
“E sbaglio ancora a fidarmi a regalare il cuore agli altri”. Ti hanno deluso spesso?
No, mai. È stata colpa mia, sempre, fidarmi di persone di cui non avrei dovuto. A volte commetto l’errore (errore che amo fare ancora) di amare senza chiedere il permesso, a volte ci sono conseguenze forti, incasso senza lamenti tutte le conseguenze.
Amadeus ha detto che questo è il festival della consapevolezza, in cosa senti di essere diventato consapevole?
Sono consapevole di aver ascoltato troppe volte il cuore ma proprio perché ho ascoltato troppe volte il cuore adesso sono consapevole di me.
Scrittore, cantante, poeta. Puoi scegliere solo una delle tre cose. Quale?
Avrei detto vento, ma se mi metti alle strette con solo queste tre cose, sono un poeta.
Poeta preferito?
Ne ho tanti, nominandone uno mi sentirei di fare un torto all’altro, non me la sento, ti dico, in compenso, il mio pittore preferito: Yves Klein.
Come scrivi?
Ho un taccuino. Alcune cose diventano canzoni, se ho uno strumento. La musica è più giocherellona rispetto alla poesia. La poesia è il mio momento di preghiera e di raccolta, la musica è il gioco, l’allegria, la parte che scherza.
Se Arnica fosse un quadro?
Attese di Lucio Fontana. La tela gialla, il concetto dello spazio. Quando ho studiato la sua idea di rompere la tela, tutti hanno pensato “lo posso fare anche io”. Ma non è così, l’ha fatto lui. Lui invita a un’altra dimensione.
Squadra del cuore Inter. Appassionato o spettatore distratto?
Sono un appassionato distratto.
La tua parola preferita.
Ieri era sovvertire, oggi ti dico abissale. Domani, eh, domani cambierò.
Nel nuovo album, così come nel nuovo libro, omaggi il mare.
Ho passato gli ultimi due anni a dieci minuti dal mare, in un bosco, in collina. Ho voluto omaggiare quello che mi aveva dato il mare. Lo amo ma l’ho sempre snobbato rispetto alla montagna. La montagna mi ha salvato più volte la vita. il mare ti insegna che non puoi scappare. Ho trascritto i suoi insegnamenti. Per dirgli grazie.
In che senso la montagna ti ha salvato la vita?
A 14 anni mi sono trasferito a Pietralunga, sugli appennini umbro marchigiani. Non ne potevo più, stremato dai miei coetanei a scuola, i miei genitori che non vibravano sulle mie frequenze. Stavo male, avevo attacchi di depressione e tristezza. Non avevo gli interessi degli altri, ragazze, squadre di calcio. Io non avevo mio padre, non avevo figure con cui confrontarmi. Il “maschio” mancava in casa. Solitudine, tristezze, malinconie. Ho avuto l’occasione di andare a vivere in montagna, un mio amico aveva bisogno di aiuto sul trattore, sono andato a vivere con la sua famiglia. Mia madre mi ha concesso di essere libero, lei non aveva mai potuto fare niente. Non ho mai tradito la sua fiduca. Avevo già iniziato a praticare la meditazione trascendentale. Mi sono trasferito, ho iniziato a svegliarmi alle cinque prima di andare a scuola, un’ora di trattore per raccogliere lenticchie e ceci, vendevamo le pietre ollari. Lì ho trovato anche due chiese induiste e altre persone che meditavano, la mia solitudine non era più una malattia, il parlare con me stesso era riflessione ad alta voce. Ho trovato persone che hanno iniziato a non giudicarmi. Il bosco è diventato il mio rifugio.
Come vivi la questione ambientale?
Non penso che gli esseri umani si meritino l’estinzione, credo nel risveglio di coscienza, non possiamo andare avanti così. Vorrei che l’uomo iniziasse a consumare di meno, se smettiamo di comprare plastica, le aziende ne produrranno di meno. Beviamo l’acqua dal lavandino o a prendere le bottiglie di vetro. Le rivoluzioni devono partire dal basso. Invece di comprare da Amazon, compriamo dal negoziante vicino a casa. Siamo noi a dover cambiare per primi.
Hai scelto Gli Anni, come cover. Come mai?
Rappresentava le mie urla di infanzia, Max Pezzali è stato un altro guru per me. Ci ha accompagnato ai primi baci, ero in quella fascia di età che iniziavo a scoprire le cose, lui era come un papà che mi ha guidato. Volevo dirgli grazie. Tra tutte le sue canzoni Gli anni mi ricorda un po’ il ritornello di Arnica, l’urlo di tante cose insieme.
Canterai con i finalisti di The Voice Senior.
Volevo fare una cover con persone non famose, volevo anziani, non del mestiere. Perché ho un buon rapporto con quella fascia di età. Così come con i bambini di cinque o sei anni. Con gli anziani parlo di cose che non hanno a che fare con il lavoro. Con i bambini gioco. Ho detto “troviamo tipo mia nonna?”. La mia casa discografica mi ha suggerito i cantanti di The Voice. Io non l’ho mai visto, ma quando mi hanno mandato i link su YouTube ho pianto. Li ho chiamati subito, hanno detto subito sì. Ne sono felicissimo. Rispecchiano oltre le mie aspettative, sono dei maestri.
È vero che non hai la tv?
Non sono contrario alla tv, ma io non l’ho mai avuta. Fino adesso è andata bene. Sanremo è un grande spettacolo tv, ma ogni pesce fuor d’acqua può trovare il suo spazio. Non l’ho mai visto, ma ci vado.