Cinque album, tanti concerti, il rapper torinese, 36 anni, Willie Peyote porta il suo stile ironico con tematiche sociali nel brano Mai dire mai (La locura), partendo dalla critica al nostro mettere sempre al primo posto l’intrattenimento, dove quel che conta è far parlare di sé, più che avere qualcosa da dire. Discografia, patriarcato, teatri chiusi e pandemia, c’è anche il ricordo dello scorso Sanremo con una divertente citazione dell’episodio di Morgan e Bugo. Il suo vero nome è Guglielmo Bruno e nella serata delle cover canterà Giudizi Universali, il meraviglioso brano di Samuele Bersani che salirà con lui sul palco. La sua consapevolezza: non prendersi mai sul serio.
Guglielmo o Willie?
Rispondo in entrambi i modi.
Che storia ha la tua canzone?
Non è stata scritta per Sanremo, ma per il nuovo disco che sto preparando. È stata scelta senza che me ne accorgessi, prima ancora che iniziassi a pensarci. Anche perché contiene prese in giro al Festival, non avrei mai creduto potesse portarmi lì davvero. Ho accettato di partecipare perché la musica è ferma da un anno. Se avessi potuto suonare in giro probabilmente non lo avrei fatto. Non sputo nel piatto in cui mangio, ma la mia vita è sui palchi. Il Festival quest’anno è un segnale. Era giusto esserci.
Qual è il tuo obiettivo?
Prendere in giro, sparigliare le carte. Non ha attacchi realmente diretti, è una critica generale all’interpretazione della realtà che ci circonda. Ci prendiamo tutti troppo sul serio.
Arrivo al Festival con qualcosa che nessuno si aspetta da me. È musicalmente leggero, impegnato in modo satirico più che sociale. Qui in Italia tutto sembra sempre nuovo, siamo un po’ indietro. Diamo spesso un nome sbagliato alle cose. Ma non voglio essere troppo sul serio.
Sei stato “il primo della classe” nelle pagelle dei primi ascolti del brano.
Le pagelle così alte hanno incentivato chi mi aspetta al varco. Ma mi ha inorgoglito molto.
Il brano sembra attaccare la discografia attuale.
Non me la prendo con i miei colleghi, ma con il pubblico. Come noi artisti veniamo percepiti, come il pubblico ascolta la musica e cosa ne pretende. Oggi se fai una cosa diversa da quella che il pubblico si aspetta, il pubblico se ne risente. Si aspetta qualcosa da te e se non lo accontenti non va bene. Non è Tik Tok il problema, ma se le major prendono solo canzoni che funzionano bene lì, non stanno facendo il loro lavoro. Che è quello di talent scout, per andare a scoprire qualcosa che potrà funzionare, non che funziona già.
L’altra grande critica è ai teatri chiusi.
La cultura non può passare solo dallo streaming. Così come l’intrattenimento o lo sport. Mi sembrava sbagliato far finta che non fosse successo nulla. È un anno che i miei colleghi non lavorano.
Suonerai senza pubblico. Ti mancherà?
Nella mia carriera ho suonato tante volte in posti vuoti, non sarà novità. Non è tanto il teatro vuoto quanto tutto il circo mediatico che mi mancherà.
Il titolo del brano è Mai dire mai. Tu cambi spesso idea?
Sì, sono aperto ai cambiamenti. Mi piace cambiare idea, quando qualcuno mi convince, lo prendo come un dono. Le certezze mi spaventano. Sanremo comunque non è mai rientrato nella mia categoria dei “mai”.
Come sono andate le prove?
Suonare con un’orchestra con così tanti elementi è una grande soddisfazione. Confrontarmi con musicisti brani è la parte più bella del mio lavoro. Il mio pezzo non è orchestrale, ma è stato divertente sfruttare ogni elemento.
Nella serata delle cover canterai Giudizi Universali con Samuele Bersani, come mai questa scelta?
Mi hanno detto “Puoi fare il pezzo che vuoi della musica italiana”. Ho scelto di fare uno dei miei preferiti, pensando però che l’avrei fatto solo se anche lui fosse venuto a cantare con me. Quando Samuele ha detto sì mi sono commosso. Mi mette più in soggezione avere lui di fianco che le telecamere. Questo brano è un regalo che faccio a me stesso. Ci vado una volta sola, è un regalo per me, per farlo diventare un ricordo indimenticabile.
Sul comodino di Sanremo cosa porti?
Un computer per guardare il Torino che giocherà in settimana.
Tifoso quanto?
Quando non sono in tour vado sempre allo stadio, ma ho un modo tuto mio di vivere il tifo, lo associo anche an approccio particolare a una filosofia di vita.
Qual è?
Preferisco gli antieroi agli eroi. Preferisco chi parte dal basso per raggiungere risultato minimo. Non mi piace la strada spianata.
Devi portare una sola persona a sanremo con te, chi scegli?
Una è troppo poca. Porterei con me un sacco di amici.
Cosa ti fa arrabbiare?
Quello di cui parlo nel brano è quello che mi fa arrabbiare. Guardare alla forma più del contenuto, l’incapacità totale di analisi del testo, anche sui primi ascolti del mio brano. Viviamo in un mondo che ci impone la velocità, non ci diamo il tempo di capire le cose, ci facciamo un torto.
Cosa ti fa ridere?
La gente si incazza per qualcosa che non ha capito.
Il posto preferito in cui andresti ora.
Mi basterebbe andare. Anche solo tornare a Roma o Napoli. Fare un giro dell’Italia, andare in Sicilia. E poi nei Balcani, appena aprono vado.
Hai un portafortuna?
Non ho riti non mi preparo niente. Se hai un pattern di comportamento la volta che non è possibile attuarlo ti poni in modo sbagliato e hai paura di sbagliare.
Hai tatuaggi?
Non ho niente, neanche orecchini.
Da dove arriva la musica?
Ho avuto la fortuna di vivere in una famiglia di musicisti. Mio padre suonava in una band. Io stavo al banchetto e vendevo i dischi. Mi piaceva tantissimo. In casa ascoltavamo tantissima musica. I primi miei ascolti sono stati rap e i cantautori della scrittura della canzone. Ho mescolato quello che avevo sentito per tanto tempo in casa e il mio gusto. Cerco di mettere insieme tutto quello che mi è piaciuto, declinandolo in modo che mi stia bene addosso. Mi piacciono tanti generi diversi, la musica è bella perché porta a sperimentare. Sarei rimasto in un call center come formatore, se non avessi voluto cambiare sempre.
Una verità su di te.
Sono una persona pesante, sono un rompicoglioni mi manca la leggerezza.
Il tuo brano cita Boris, cos’altro ti piace della tv?
La Dandini, Guzzanti e la Gialappa’s sono la tv che mi ha formato. Mi piace vedere l’ironia. Guardo tanta tv, leggo i giornali, mi piace rimanere sul pezzo. Ma la guardo come ascolto i dischi che escono, per farmi un’idea. Guardo i talk show ma li vedo tutti uguali. Guardo per informarmi, non per gusto. South Park e la stand up comedy però mi piacciono.
Questo periodo su cosa ti ha fatto prendere consapevolezza.
L’autoironia. La consapevolezza di non doversi prendere sul serio mai.
Se potessi ripartire in tour?
Il mio tour si è fermato esattamente un anno fa. Ripartirei da lì, era uno spettacolo di cui ero orgoglioso. Sono pronto, ma so che non sarà immediato. Ci sarà un altro disco, sarà tutto da ristudiare. Obiettivo, far muovere culo e cervello.