Ci sono storie che sembravano destinate a non diventare mai un film e invece, forse per caso, forse per destino, di certo per la determinazione di chi ci ha creduto, arrivano al cinema come un regalo inaspettato e prezioso. Una notte a New York è uno di questi.
Sean Penn taxi driver in Una notte a New York
Era nato per essere uno spettacolo teatrale, poi la sceneggiatura è finita nella lista dei lavori non prodotti più apprezzati a Hollywood e ha conquistato Dakota Johnson. Che non solo ha voluto produrla per il grande schermo ma l’ha anche portata di persona a Sean Penn per convincerlo a interpretare il protagonista.
100 minuti per raccontare una corsa notturna in taxi
Il risultato è «una piccola storia con implicazioni universali», per citare l’autrice e regista Christy Hall, su come una conversazione tra due estranei possa creare una connessione profonda, se siamo disposti ad ascoltarci l’un l’altro. «Tra la 44esima e la nona»: il film, nelle sale dal 19 dicembre, comincia da un indirizzo e prosegue per 100 minuti raccontando una corsa notturna in taxi dall’aeroporto Jfk a Manhattan. Dakota Johnson, con un inedito caschetto biondo, guarda nervosa dal finestrino posteriore; Sean Penn, alla guida, la scruta dallo specchietto retrovisore. Rompe il ghiaccio con un banale «Vivi qui, vero?» e i due iniziano a parlare: chiacchiere superficiali all’inizio, poi piccoli dettagli della loro vita, infine inaspettate confessioni sull’amore, i ricordi, il futuro… Tra sorrisi, lacrime e una grande verità pronunciata dallo schietto e loquace tassista: «Gli umani vogliono solo un posto comodo dove riposare la testa». Le persone oggi si nascondono dietro una facciata. Parlare guardandosi negli occhi può essere fonte di guarigione
La nostra intervista a Sean Penn per Una notte a New York
Sean Penn, come è nato Una notte a New York?
«Dakota cercava un tipo come me, con una reputazione un po’ da bad boy. Mi ha chiesto di leggere la sceneggiatura scritta dalla sua compagna di università (Christy Hall, qui al suo esordio alla regia, ndr), cosa che non avrei mai fatto se non fosse stato per lei. Invece mi è piaciuta molto, mi ha suscitato qualcosa dentro, e abbiamo fatto una lunga passeggiata sulla spiaggia per parlare di quello che avremmo voluto da questo film. Erano anni che non lavoravo a un progetto che mi interessasse davvero, sul set contavo i minuti per tornare a casa. L’ultima volta che mi sono divertito è stato ai tempi di Milk (per cui nel 2009 ha vinto il suo secondo Oscar come migliore attore dopo quello per Mystic River di 5 anni prima, ndr)».
Era stanco di fare l’attore?
«Ero stanco di me. Nonostante abbia lavorato con bravi attori e registi, avevo perso l’entusiasmo. Ho pensato che fosse ora di fare altro (dall’impegno umanitario con la sua organizzazione Core alla scrittura di romanzi, fino al documentario Superpower sull’invasione russa in Ucraina, ndr). Poi ha bussato alla mia porta Dakota, portando con sé questo regalo».
Come l’ha conosciuta?
«È la mia vicina di casa a Malibu. Siamo amici, lo sono anche dei suoi genitori (Melanie Griffith e Don Johnson, ndr). Spesso mi invita a colazione, sa che mi alzo presto. Peccato che, ogni volta che vado da lei, dimentichi le ciabatte (ride, ndr): ormai ne ha una collezione, si rifiuta di ridarmele!»
Di cosa avete parlato durante quella passeggiata sulla spiaggia?
«Del fatto che a 64 anni forse non avrei più avuto molte occasioni di fare un film così interessante e stimolante. Le ho detto che sarebbe stata la mia prima volta in un film scritto, diretto e prodotto da donne: cosa che mi ha spinto ad accettare. Le vere protagoniste sono Dakota e Christy, non io».
Sean Penn e le riprese di Una notte a New York
Le riprese sono durate appena 16 giorni. Avevate provato molto? «No, avevamo entrambi altri impegni. Abbiamo passato qualche giornata a casa mia: ho attaccato uno specchietto retrovisore al manico di una scopa per simulare il taxi. Abbiamo letto i dialoghi e ci siamo lasciati andare: non abbiamo forzato niente, ci veniva naturale chiacchierare. Le ho raccontato tante cose della mia vita, so che le non dirà mai a nessuno, mi sono aperto con lei perché è una persona che sa ascoltare senza giudicare. Girare il film è stato come sentire per la prima volta una bellissima canzone come Yesterday dei Beatles».
Cosa vorrebbe che il pubblico “portasse a casa” dopo aver visto questo film? «Spero che chi andrà al cinema possa riscoprire il valore delle conversazioni. Parlare guardandosi negli occhi può essere fonte di ispirazione e di guarigione».
Clark, il suo personaggio, dice che se guidi un taxi per 20 anni impari a conoscere le persone. Lei cos’ha imparato sulle persone in 64 anni e 50 di carriera? «Che molte non mi piacciono. Le persone oggi si nascondono sempre di più dietro una facciata».
Pensa che la gente abbia un’idea sbagliata di lei? «Me ne hanno dette di tutti i colori, che sono violento, impulsivo, ridicolo e non me ne rendo neanche conto. Sinceramente? Non me ne frega».
Sean Penn e Mystic River
Posso fare un salto indietro nel tempo e chiederle come è nato Mystic River? Tra tutti i suoi film è uno dei miei preferiti.
(Ride, ndr). «Clint Eastwood mi chiese di leggere il copione: il tema era simile a un film che avevo appena fatto, non ero molto convinto, ma non ebbi il coraggio di dirglielo. Così quando mi richiamò qualche mese dopo per sapere se avrei accettato, non seppi dirgli di no. E poi c’ho pure vinto un Oscar…».
Negli anni in cui si era disamorato del mestiere di attore ha pubblicato due romanzi satirici che hanno per protagonista il personaggio di Bob Honey, imprenditore e assassino part-time. Quando ha iniziato a scrivere?
«Ho sempre scritto, anche se non ho mai avuto il coraggio di pubblicare le mie storie. A 20 anni buttavo giù poesie sui tovaglioli dei bar. Ho iniziato un romanzo sulla mia visione dell’America che non ho mai finito. Per raccogliere materiale ho fatto anche la spola tra New York e Los Angeles on the road, alla Jack Kerouac. Ho collezionato immagini, avventure, racconti che sono rimasti sempre nella mia testa. Poi ho iniziato a scrivere perché non pensavo che sarei tornato a fare l’attore… Magari avrei diretto altri film, ma non recitato (sta lavorando a un documentario sul giornalista saudita Jamal Khashoggi, assassinato nel 2018 per aver criticato il governo del suo Paese, ndr).
Invece Sean Penn nel 2025 girerà un secondo film con Paul Thomas Anderson, dal titolo e dalla trama ancora top secret.
«Dopo la comparsata nel suo Licorice Pizza, del 2021, mi ha richiamato… Un altro regalo dopo quello di Dakota. Sono felice di essere al fianco di attori incredibili come Leonardo DiCaprio, Regina Hall e Benicio del Toro».