Serena Dandini dice che la parola fine, per un libro, arriva solo quando qualcuno lo legge. La storia che viveva nella tua testa diventa di tutti ed è un po’ come quando i figli muovono i primi passi nel mondo: li guardi con un filo di apprensione e la curiosità di vedere cosa diventeranno. E non importa quanti libri tu abbia scritto: ogni volta è così. «Finalmente Sara Mei prende vita e la cosa mi dà una grande gioia». Sara Mei è la protagonista del suo nuovo romanzo, C’era la luna (Einaudi): un’adolescente di fine anni ’60 appena approdata nella terra di mezzo del ginnasio che chiama suo padre il patriarca, sogna l’amicizia luccicante delle ragazze più grandi, l’amore, il sesso e tutto quello che la scoperta di sé e la curiosità verso la vita si portano dietro. «Volevo raccontare la voglia di vivere di quella generazione che si ribellava alla cultura patriarcale con la spensieratezza» spiega. «E per farlo mi sembrava giusto usare la voce di una ragazza piantata nei suoi anni, non quella di un’adulta che ricorda ma sa già quello che verrà dopo».

Serena Dandini e gli anni ’60

Dopo ci sono stati gli anni ’70: gli estremismi ma anche i grandi cambiamenti. Non le interessava allungare lo sguardo fin lì?

«No. Io mi fermo al ’69, nel mondo di prima: dove non c’era una legge che regolasse l’interruzione di gravidanza, era proibita la pillola anticoncezionale, lo stupro era un delitto contro la morale, non c’era il divorzio e il diritto di famiglia concedeva all’uomo vita, morte e miracoli sulla moglie e sui figli. Un mondo in cui esistevano ancora il delitto d’onore e il matrimonio riparatore».

Da allora sono passati poco più di 50 anni. Pensarci mette i brividi, no?

«E infatti non ci pensiamo. Abbiamo dimenticato, rimosso. Le nuove generazioni danno molte cose per scontate: i diritti, se ce li hai, non li vedi. Le ragazze del mio libro, invece, avevano un sano desiderio di ribellione che è diventato il seme di tante cose. Ognuno vive nel tempo che gli è dato, ma credo che certi sentimenti e certi desideri vadano rinfocolati».

Come ci si riesce?

«Non servono esempi eroici. Sara è una ragazzina maldestra che non sa bene che cosa vuole diventare, ma ci prova comunque. La crescita femminile è fatta di storie così».

La sorellanza secondo Serena Dandini

Anche lei è stata una ragazzina maldestra in cerca di sé?

«Non è un libro autobiografico, ma scrivi sempre di quello che conosci. Anch’io ho preso un po’ di qua e un po’ di là dalle ragazze che avevo attorno e ho trovato me stessa grazie alla sorellanza. In quell’età buia che è l’adolescenza puoi sopportare tutto ma non la solitudine».

C’era la luna, ora in libreria per Einaudi, è il nuovo romanzo di Serena Dandini: protagonista è Sara, una ragazzina di fine anni ’60 «che non sa bene che cosa vuole diventare, ma ci prova comunque».

Vale solo nell’adolescenza?

«Vale sempre. Le amiche sono lo strumento meraviglioso grazie al quale sopporti gli insulti della vita».

Amiche a parte, dove ha trovato Serena?

«Nella musica e nei libri. E, come per tutti, grazie agli amici più grandi. Sono stata molto maldestra e molto indecisa, però sapevo che non volevo essere come i miei genitori. Non volevo essere quel tipo di donna che aveva scelto di sacrificare ogni aspirazione sull’altare della famiglia. Come Sara, sono cresciuta facendo il giuramento di Tara: “Mai come mia madre”. Ma questa era la sola certezza, per il resto non sapevo se volevo essere beat o hippie o impegnata politicamente, se Barbarella o Colette: ogni suggestione andava bene purché portasse lontano dai manuali di economia domestica».

Serena Dandini e la famiglia

La confusione è risolta o ancora resta?

«Serena l’ho trovata tardi e, per certi versi, la sto ancora cercando. Ho avuto una carriera dadaista e ondivaga, la curiosità che avevo da adolescente è rimasta la mia cifra: non fermarmi, trovare sempre nuove strade. E, insieme alla curiosità, l’ironia che boicotta ogni mia aspirazione alla serietà. Mio padre, era, sì, un patriarca, ma con un grande senso dell’umorismo e questa è l’eredità più grande che mi ha lasciato. Se ti prendi in giro da sola, ti porti avanti e diventi più forte».

E sua madre, invece?

«La paura di diventare come lei è rimasta una delle mie ansie principali, ma diventando grande smetti di essere assolutista: capisci il diverso da te e scopri il sentimento della tenerezza che tanto ti spaventa da adolescente. Smetti di chiederti perché tua madre non si ribella e accetti la sua fragilità».

Scrive che «nella vita di tutti c’è un istante in cui i genitori diventano una visione sfocata». Anche a lei è successo?

«Sì, e so che capiterà anche a mia figlia. È crudele, ma va accettato: capire quando fare un passo indietro è difficilissimo. Ora però mi godo la nonnitudine, che è amore puro senza le responsabilità del genitore».

L’amore, il sesso e il corpo delle donne secondo Serena Dandini

Ecco, parliamo d’amore. Di Sara scrive: «Dentro di lei c’era una donna sentimentale che già si vedeva all’altare». Il batticuore frega?

«Be’, un po’ sì. Almeno per me. Sono cresciuta in mezzo a una guerra dei mondi: da una parte il principe azzurro e l’immancabile nuvola di romanticismo, dall’altra l’idea che si potesse essere il principe azzurro di noi stesse realizzando altre ambizioni. Alla mia generazione quella contraddizione è rimasta dentro: sono le nostre radici, non bastano le leggi a cancellarle. Tocca lavorarci: non c’è nulla di male nel romanticismo, ma se diventa una fregatura sì».

Il sesso che parte ha?

«Anche quello può essere una fregatura. Servirebbe una giusta educazione sessuale nelle scuole, ma la resistenza è ancora forte. Siamo ostaggio del passato e ci ritroviamo una generazione che forma la sua idea di sesso sui social e nei porno online».

Lei, invece, dove l’ha trovata?

«Io e le mie amiche brancolavamo nel buio come le protagoniste del libro. Con le madri non potevi parlare, nel nulla ti affidavi alle ragazze più grandi di cui avevi fiducia. Il corpo era sconosciuto, tutto ciò che riguardava la sessualità femminile era bannato, le parole “desiderio” e “femminile” non si potevano avvicinare».

Il corpo delle donne ancora oggi resta un campo di battaglia.

«In America vediamo cose impressionanti come la delazione degli uomini nei confronti delle donne che prendono la pillola del giorno dopo. Uno scenario degno di una distopia di Margaret Atwood. Abbiamo impiegato decenni per affermare il diritto sui nostri corpi e oggi questo diritto viene rimesso in discussione. Le giovani generazioni devono tenere gli occhi aperti. Capire come eravamo serve non solo a dirci chi siamo, ma anche a sapere che cosa non vogliamo tornare a essere».