Ovviamente ha vinto, ed ovviamente si è parlato solo di lei. Serena Williams ha esordito all’Australian Open vincendo contro la tedesca Laura Siegmund, dimostrando di aver superato i problemi alla spalla che l’avevano fermata nella semifinale del torneo di preparazione contro Ashleigh Barty. Nel prossimo match affronterà la serba Nina Stojanovic, ma intanto sui social non si parla che del suo look: una tuta realizzata insieme al suo sponsor, Nike, che lascia una gamba interamente scoperta, ovvero il leggendario “catsuit” che Florence Griffith-Joyner, la velocista americana scomparsa a soli 38 anni, indossò alle Olimpiadi di Seoul del 1988.
Una tuta che ha fatto la storia dello sport e che è rimasta impressa nell’immaginario collettivo: Griffith era infatti famosa per i suoi look e diventò ben presto un’icona di stile, con le unghie laccate di rosso e le lunghe ciglia cariche di mascara. «Sono sempre stata ispirata da Flo-Jo, che era una meravigliosa atleta quando ero piccola», ha detto Williams ai giornalisti, «Guardavo sempre i suoi look, che cambiavano sempre. I suoi abiti erano sempre fantastici».
Flo-Jo, icona di sport e di stile
“Flo-Jo”, come la chiamavano affettuosamente i fan e com’è l’ha ricordata anche Serena Williams, è stata per lungo tempo la donna più veloce del mondo. Ancora oggi i suoi record sono imbattuti: 10”49 sui 100 metri piani e 21”34 sui 200; mentre ai Giochi olimpici di Seul conquistò tre medaglie d’oro nei 100, 200 e nella staffetta 4×100 metri, oltre a una medaglia d’argento nella 4×400 metri. Una carriera fulminante su cui hanno aleggiato anche i sospetti di doping e una tragica fine: Griffith-Joyhner muore infatti nel 1998 a causa di un attacco epilettico che la coglierà nel sonno.
I sospetti di doping non furono mai confermati (anche se ci sono diverse teorie al riguardo) e la sua resta una parabola che ancora oggi inspira generazioni di atleti, come dimostra l’omaggio di Williams. Griffith-Joyner era nata in California da una famiglia umile, era entrata giovanissima nella squadra dell’allenatore Bob Kersee presso l’Università della California, dove ha iniziato a collezionare i suoi primi successi.
È stata medaglia d’argento nel 1984 ai Giochi di Los Angeles nei 200 metri, e dopo aver interrotto l’attività, si è ripresentata ai Mondiali di Roma nel 1987, vincendo la medaglia d’oro nella 4×100 metri e l’argento nei 200, fino alla consacrazione definita di Seoul, nel 1988, quando divenne un’icona mondiale. Oltre alle innegabili doti sportive, fu la capacità di giocare con la sua immagine a renderla popolare: non solo il “catsuit”, frutto in realtà di un errore ma diventato iconico – «Sperimentavo davanti allo specchio», aveva raccontato all’epoca, «giocavo con le forbici. Mi piacque. Ci andai in pista» – ma anche le acconciature, le unghie sempre dipinte, gli occhi truccati. La tuta di Williams, che ha provocato accese reazioni sui social, tra chi ha celebrato la scelta della tennista e chi invece ha voluto criticarla, riporta alla memoria la sfortunata vicenda di un’atleta che ha segnato il suo tempo, e che nessuno ha dimenticato.