Sergio Castellitto non te la manda a dire. Prende posizione, non finge modestia e, quando gli ricordo che ad agosto compirà 65 anni, ride e risponde in romanesco: «Però ancora gliel’ammollo» (tradotto: «So bene il fatto mio»). Da quasi 40 anni cavalca gli schermi italiani in ogni possibile ruolo, compreso quello di regista dei 4 film scritti con la moglie Margaret Mazzantini (l’ultimo, Fortunata, ha fatto vincere un David di Donatello alla protagonista Jasmine Trinca). L’8 maggio sarà su Rai1 in Aldo Moro. Il professore, docufiction dedicata allo statista democristiano ucciso 40 anni fa dalle Brigate Rosse. E ora è al cinema con la commedia Il tuttofare di Valerio Attanasio, in cui interpreta un avvocato e barone universitario corrotto e corruttore che riduce in schiavitù il suo assistente.
Chi è questo avvocato, un “cialtrone” contemporaneo?
Sicuramente un personaggio che si può iscrivere nella galleria dei grandi “mostri” raccontati dal cinema italiano, quasi un omaggio agli attori che da ragazzino me ne fecero innamorare: Gassman, Tognazzi, Mastroianni.
L’Italia descritta nel film è tutta inciuci e raccomandazioni. Siamo davvero così?
Non tutti, e mi sono un po’ rotto le scatole di chi parla sempre male di questo Paese. Credo che l’Italia sia piena di donne e uomini straordinari, non solo di truffatori e molestatori. Di gente che si alza la mattina e va a lavorare, cercando di darsi una dignità. Il problema è quanto la società alzi l’asticella del compromesso. Che però è insito nella vita: tutti dobbiamo accettarne, dall’idraulico al politico.
Lei si interessa di politica?
Soltanto da cittadino qualunque. Ma confesso di nutrire una generale sfiducia nella classe dirigente e mi pare un sentimento abbastanza diffuso. Alle ultime elezioni il 35% degli italiani non è andato a votare: paradossalmente avrebbero la maggioranza.
Nella fiction su Aldo Moro racconterà tutta un’altra Italia.
Mentre preparavo il ruolo cominciava la campagna elettorale. Guardavo i talk show che mi parlavano di Renzi e Di Maio e in contemporanea i filmati d’epoca con Moro, Berlinguer, Craxi. Ho pensato: averceli oggi, certi statisti.
Lei aveva 24 anni quando Moro fu sequestrato. Che ricordi ne ha?
Studiavo all’Accademia d’arte drammatica quando arrivò la notizia. Vidi molti dei miei compagni attraversati da un fremito, come se quell’azione fosse una ribellione al sistema. E invece moriva la nostra giovinezza.
Oggi ha 4 figli tra gli 11 e i 26 anni: è preoccupato per il loro futuro?
Come tutti i genitori. Ma non posso togliere ai giovani il diritto alla speranza, anche perché io la mia carriera l’ho fatta.
Anche suo figlio maggiore Pietro recita: ha finito La profezia dell’armadillo, il film tratto dall’omonimo libro a fumetti di Zerocalcare e sarà in Freaks out di Gabriele Mainetti.
Io ne sono molto orgoglioso, perché si è guadagnato tutto sul campo. Però non posso parlarne: me l’ha proibito. Gli secca essere “il figlio di”, e ha ragione.
La sua famiglia è una piccola “farm” artistica. Sua moglie Margaret è una scrittrice affermata, Pietro recita, fate film tutti insieme.
Io e Margaret siamo in coppia da più 30 anni, per noi non c’è distinzione tra privato e lavoro. Casa nostra è un’agorà, le idee dei film le discutiamo a cena davanti ai figli, passiamo le serate tutti insieme “sbracati” sul divano a discutere, litigare, fare pace.
Non è facile costruire una famiglia così.
Siamo stati bravi: Margaret e io non abbiamo mai anteposto noi stessi e le carriere al progetto familiare. Per noi era la cosa più importante.
Gli altri suoi figli studiano?
Sì, la grande è a Londra, la sorella la raggiungerà dopo l’estate.
Le verrà la sindrome del nido vuoto.
Non credo, sto ancora metabolizzando quella del nido pieno. E poi c’è il piccolo di 11 anni che dovrà ancora essere seguito durante il percorso scolastico.
Che cosa risponde a chi vi critica per il vostro il successo?
Che noi siamo fuori dall’establishment. Non abbiamo amici potenti, siamo andati avanti soltanto con le idee e con il rapporto che negli anni abbiamo costruito con il pubblico.
Mantenere l’indipendenza è così importante?
Lo è, perché il cinema è un ambiente fatto di schieramenti, compromessi, consensi travestiti da dissensi. Mentre io credo che un artista debba essere solo davanti al suo lavoro, non influenzato né subordinato. E voglio essere in grado di parlare con chiunque, a destra, al centro e a sinistra. Certo, poi ho le mie idee. Ma siccome sono anche un bastian contrario, in genere mi piace stare dalla parte di chi perde.