«Mentre attraversavo il ponte che portava a Manhattan, nella mia nuova veste di donna single di mezza età alla guida di un ragguardevole Suv, mi dovetti porre la domanda più ovvia. Si fa ancora sesso in città?». Se vi sembra di riconoscere questa “voce”, avete ragione: la “voce” suona come quella di Carrie Bradshaw, la protagonista di Sex and the City. Più precisamente è quella di Candace Bushnell, la giornalista che nel 1994 inventò una rubrica sui rituali di accoppiamento che diventò prima un libro, e poi la serie simbolo di una generazione. 6 stagioni, 2 film, un universo costruito su 4 modelli di donna: Carrie, Miranda, Charlotte e Samantha. Candace Bushnell oggi ha 60 anni, e lo stesso sguardo indagatore. In libreria è appena arrivato Sex in the city… e adesso? (Mondadori).
Il libro ruota attorno alle storie di «sei 50enni alle prese con amore, sesso e amicizia nella scintillante NewYork»
Raccontate in prima persona, naturalmente. Al netto del nome della protagonista, che questa volta si chiama Candace, perché «una delle cose che si imparano sulla mezza età è che la vita non è un film», potrebbe sembrare una revisione anagraficamente appropriata della trama originaria: riusciranno le nostre eroine a trovare l’amore? Ma non è esattamente così. Per fortuna.
Lo spunto è il sesso, inevitabilmente
La Candace del romanzo, dopo aver metabolizzato un divorzio, torna in città per scrivere un articolo sul corteggiamento a mezzo Tinder, la più famosa app di incontri. L’esperienza si risolve in fallimento. «Trovare un uomo su Tinder è piacevole come cercare casa», ma serve a tastare il polso della condizione femminile nei centri urbani superata l’età fertile.
Il denominatore comune, sostiene Bushnell, è la “Follia della Mezza Età” (Fme). In apparenza somiglia alla tradizionale “crisi”, tuttavia tende a comparire con qualche anno di ritardo, «di solito nel momento peggiore, ovvero in contemporanea con altri importanti cambiamenti come un divorzio, un lutto, un trasferimento, la menopausa, i figli che abbandonano il nido e la perdita di un lavoro». Anche quelle che non hanno mai avuto un appartamento a Manhattan potranno riconoscersi: la Fme è quella sindrome per cui, all’improvviso, non solo non sai più bene chi sei, ma anche la società fatica a trovarti un ruolo.
Se non sei più (o non sei mai stata) madre, non sei più figlia, non sei più moglie e neanche una professionista in carriera, allora chi sei?
Certo non una sgallettata in cerca di un principe qualsivoglia. «Avevo trascorso quasi 35 anni tra una relazione e l’altra; avevo persino vissuto il ciclo completo della relazione: innamoramento, matrimonio, divorzio. E adesso avrei dovuto ricominciare?» si chiede perplessa Candace. Senza contare che la fauna maschile è quantomeno scoraggiante: i più giovani sono «cuccioli» servizievoli, i più anziani salutisti ossessionati dal cavolo riccio, i coetanei fighi tornati su piazza prima o poi finiscono con una 30enne. E comunque una notte intera di sonno è molto più salubre di qualche ora di sesso mediocre. Quello che davvero manca è qualcuno a farci compagnia.
Anche i rapporti con le amiche devono essere ricalibrati
Nella guerra contro l’irrilevanza, quando nella testa risuona «il tipico terrore sordo della mezza età, quello che ti dice che, da oggi in poi, è tutta una china discendente», ognuna combatte la sua specifica battaglia. E «due donne che un tempo pensavano di avere tutto in comune, possono scoprire all’improvviso che le loro vite non potrebbero essere più diverse». Ma prima di ritrovarsi, e quindi ricollocarsi, è necessario riconoscersi allo specchio. Ed è qui che la Fme assume la sua forma socialmente più convenzionale: la lotta all’invecchiamento. Quanto sei disposta a spendere per ringiovanire la tua faccia? Il tuo corpo? La tua vagina? In breve: per tornare a essere quella che eri?
«Il prezzo della giovinezza è molto più alto per le donne che per gli uomini»
scrive Bushnell (negli Stati Uniti ancora più che da noi) e parimenti aumenta il costo per cercare di riappropriarsi della propria identità. Qualcosa serve, qualcosa no: senz’altro l’eterna giovinezza non è in vendita. La guarigione dalla Fme invece è spesso una questione di budget: una volta esaurito, la follia non può più venire alimentata. E diventa possibile «osservare bene la realtà della propria vita e scoprire cosa puoi costruire partendo da lì». Restituirsi a se stesse è faticoso per tutte, ma forse questo è uno di quei rari casi in cui conviene non avere troppo da sperperare: si guadagna tempo.