Sharon Tate era figlia di un militare. Nata a Dallas, in Texas, nel 1943 e cresciuta tra l’esercito e le scuole religiose, era considerata da tutto il mondo una delle più belle attrici in circolazione e tutti la “desideravano” tanto che girò persino a Cinecittà un film con Vittorio Gassmann. Ma dopo l’incontro col genio polacco Roman Polański di cui si era follemente innamorata, mollò tutto per sposarsi immediatamente. Era destinata ad essere felicissima. Sì, destinata. Fecero due film insieme ma tutti ricordano solamente la pellicola “Per favore non mordermi sul collo” perché poco dopo lei restò incinta e si “ritirò”. Era l’estate del 1969 e sembrava che nella loro storia fossero presenti tutti gli ingredienti per la favola a lieto fine.
Ma una notte calda e soffocante d’agosto, il 9 precisamente, mentre il marito era a Londra per lavoro – impegnato nelle riprese di Rosemary’s Baby film dedicato proprio ai riti satanici – una gang la massacrò. E con lei morirono il bambino di otto mesi e mezzo che aspettava e quattro amici – Jay Sebring, noto parrucchiere di Hollywood, lo scrittore Wojciech Frykowski e la compagna Abigail Folger – che le facevano compagnia nella lussuosa villa di Bel-Air dove, tra l’altro, avevano vissuto star del calibro di Cary Grant, Henry Fonda, e Doris Day.
A seminare il terrore era stata niente meno che la Manson’s family, la setta capitanata dall’ormai “famoso” Charles, uno dei più terribili assassini della storia: un criminale squinternato che si credeva un grandissimo cantautore ma che viveva di rapine e si autoproclamava “l’incarnazione di Gesù Cristo e Satana insieme”. Per tanti americani (e non solo) fu proprio quello il momento in cui il sogno hippie del “Make peace not war” finì per sempre: quell’agosto venne messa la parola fine sul sogno americano già destabilizzato dall’omicidio di Bob Kennedy pochi mesi prima, sempre a Los Angeles.
Sharon Marie Tate allora aveva appena 26 anni e fu sepolta con il suo bambino, Paul Richard Polanski tra le braccia, nella Holy Cross Cemetery, a Culver City, in California.
Ecco chi era l’icona amata da Tarantino che oggi rivive nel suo film. C’era una volta… a Hollywood mescola sapientemente la finzione con i fatti realmente accaduti quell’agosto in un vero e proprio omaggio di Quentin Tarantino alla fine dell’età d’oro di Hollywood. Al suo nono film, Tarantino firma e filma la sua personale lettera d’amore per il cinema, innescando un gioco di rimandi cinefili così elaborato da esserci posto anche per un’autocitazione. Once Upon a Time in… Hollywood, questo il titolo originale, ci porta dritti per le strade assolate della Città degli Angeli in una rielaborazione semi fantasiosa della fine degli anni Sessanta.
Il film, interpretato da Leonardo DiCaprio, Brad Pitt e Margot Robbie, è ambientato nella Los Angeles del 1969 e segue le vicende di un attore televisivo e della sua controfigura nel tentativo di entrare nell’industria hollywoodiana, sullo sfondo degli omicidi della famiglia Manson. È così che la carriera di Rick Dalton (Leonardo DiCaprio) e quella della sua controfigura Cliff Booth (Brad Pitt) si intrecciano ai fatti di sangue nella villa di Polański. La pellicola, che esce nelle sale italiane il 18 settembre, dà ampio spazio alla terribile vicenda della giovane, splendida diva trucidata tra le mura di casa. Una vicenda di cronaca su cui si innesta l’ansia di rivalsa di Dalton – sarà per questo che, a detta di pubblico e critica è uno dei film più belli di Leonardo Di Caprio? – e in cui la bellissima attrice australiana interpreta la Sharon Tate della sua ultima estate. Quella spensierata, in minigonna e stivali bianchi, ciglia cariche di mascara e dolcevita nero da ragazza yé-yé.