È il 1994. Uno spot colonizza il tubo catodico. A parlare è un uomo dal sorriso compiaciuto, con camicia dal colletto italiano e cravatta in tinta al completo bleu.

La discesa in campo di Silvio Berlusconi nel 1994

Guardando fisso l’obiettivo, Silvio Berlusconi spiega: «L’Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di imprenditore. Qui ho appreso la passione per la libertà». È il video promozionale che segna la discesa nell’agone politico di Silvio Berlusconi, al tempo notissimo imprenditore edile e televisivo, dai molteplici interessi finanche quello calcistico, esercitato come patron del Milan dal 1986. Bastano queste poche battute – entrate nel lessico comune insieme al celebre “Mi consenta” – a tratteggiare l’istrionico talento di un uomo che ha attraversato da protagonista decenni della storia italiana, installandosi – amato e odiato con la medesima forza – nel pensiero collettivo.

La forza narrativa di Silvio Berlusconi

«Berlusconi ha scelto di dare di sé un’immagine molto seducente: l’uomo con il sole in tasca. Non interroghiamoci sulla sua veridicità, interroghiamoci sulla sua forza narrativa. Una specie di mago contemporaneo che trasforma tutto ciò che tocca in un’avventura luminosa e vincente. Da questo punto di vista è servito sicuramente il Milan, che lo ha aiutato a creare una tifoseria, anche politica, che aveva a che vedere soprattutto con il calcio e molto poco con il resto» riflette Annamaria Testa, saggista e pubblicitaria, il cui destino ha intersecato più volte quello dell’ex premier fin dal 1974: «Ho vissuto la sua intera epopea, assistendo alla sua crescita e alla sua fortuna sfolgorante. È stata una persona molto abile, dotata di una grande energia personale, di un orientamento all’obiettivo veramente smisurato e di una capacità di cogliere opportunità, o di inventarsi opportunità, dove altri non riuscivano a vederne. È successo con il mondo della pubblicità, con le televisioni private, con la politica e con tutte le altre iniziative, compresa la banca Mediolanum. Era proprio un atteggiamento mentale, il suo».

Silvio Berlusconi e il culto dell’immagine

Un atteggiamento mentale che si ripercuote anche nell’estetica. Berlusconi – come hanno rivelato i suoi più stretti collaboratori – sapeva che la sua attitudine di stare al mondo, e di presentarsi al mondo, erano fondamentali. Per coltivare il suo aspetto “eternamente uguale a se stesso” non ricorse solo a trattamenti estetici e a trapianti di capelli (ma anche coloranti e fibre di cheratina), si prodigò per utilizzare i più ingegnosi stratagemmi finalizzati a cancellare le rughe, dai collant velati sulle telecamere (i celeberrimi 8 denari che hanno fatto scuola) fino al make-up effetto filtro.

Era il brand di se stesso

Nella costruzione del suo personale brand, Berlusconi è stato in grado di affinare la sua irripetibile ricetta del successo. Un mix composto da straordinaria ricchezza, abbronzatura, cruccio per l’altezza, doppiopetti blu Fininvest, golf sulle spalle, bandana e lino d’estate, spasmodica passione per il karaoke e per le barzellette; ma anche – e forse su tutto – l’idea della milanesità come valore e il culto del lavorare (ovviamente sodo).

«Un manipolatore nazional popolare»

«Berlusconi a mio avviso non è stato un anticipatore» riflette Maria Luisa Frisa, teorica della moda e curatrice, ordinario all’Università Iuav di Venezia. «Direi piuttosto – prosegue – che ha plasmato secondo una sua estetica molto precisa gusti e tendenze. Lo definirei un manipolatore nazional popolare che ha intercettato paure e desideri. La sua preoccupazione non era alzare la qualità o stimolare le persone a migliorarsi, ma tenerle dentro il perimetro del teleschermo. Ha intercettato paure e desideri, e ha saputo costruire una serie di miraggi. Ha costruito immaginari a poco prezzo. Raggiungibili attraverso quiz e televendite». Immaginari che hanno incantato milioni di italiani, producendo un effetto di empatia senza precedenti che ha prodotto a valanga un’attenzione che in alcuni casi si è trasformata in devozione.

Il pubblico è diventato l’elettorato

«Una delle cose che premiano in comunicazione – specifica ancora Annamaria Testa – è la coerenza. La coerenza non vuol dire non cambiare opinione, ma essere interamente dentro la propria parte, il proprio ruolo, il proprio personaggio. Berlusconi non è mai stato esitante nel rappresentare se stesso. Non ha mai avuto remore. Da questo punto di vista è stato, nel bene e nel male, un fenomeno». Un fenomeno che ha saputo diventare simbolo e che ha scelto di condividere con il suo “pubblico” – più che elettorato – tanto i momenti di gloria nell’arena politica, quanto gli eccessi della vita privata sintetizzati, sempre per usare un termine a lui caro, nel bunga bunga.

Un influencer prima degli influencer

È stato, Berlusconi, forse l’ultimo personaggio pre-social e pre-placement, che invece di affidarsi ad analisi di mercato e statistiche per pilotare ogni comportamento, preferiva il proprio istinto. Riuscendo a diventare così un influencer prima degli influncer. «Per lui si può applicare la definizione di Keynes, quando parla di spiriti animali del capitalismo, in questo c’è una venatura di ammirazione e non certo di disprezzo» conclude Annamaria Testa. “Eppure assistendo alle commemorazioni, mi è sembrato appartenere a un passato remotissimo, che non esiste più. È arrivato internet, e Berlusconi è rimasto un uomo di televisione. È rimasto l’uomo che ha cambiato la percezione e gli umori collettivi dell’intero Paese. Una cosa di cui si rendono conto più all’estero di quanto, forse, non realizziamo noi italiani. Ha modificato il gusto, il linguaggio, il sistema dei valori. Ma per comprendere appieno la sua figura è necessaria una prospettiva storica. Probabilmente dovremo aspettare vent’anni per aggiungere qualcosa».