Il suo motto è “abbattere gli stereotipi” e in queste tre parole c’è tutta Stefania Rocca. 51 anni, torinese e cittadina del mondo (oggi vive Milano, ma ha studiato e lavorato da New York a Parigi), debutta come regista il 28 febbraio al Teatro Lirico Giorgio Gaber con La madre di Eva (patrocinio di Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli, Festival Mix e Comune di Milano).
Lo spettacolo con Stefania Rocca
Il testo affronta un tema delicatissimo: la transizione di genere vissuta da una madre che, in clinica, attende l’operazione della figlia, divisa tra paure, sensi di colpa e amore. «Ho scelto di realizzare questo spettacolo per dare un punto di vista aperto, libero e senza opinioni precostituite a genitori e adolescenti» dice. «E non solo a quelli direttamente coinvolti in percorsi di transizione».
Come si è avvicinata al romanzo di Silvia Ferreri da cui è tratta la pièce?
«Con grande rispetto e coinvolgimento. Mi sono immedesimata emotivamente in entrambi i personaggi ed è anche per questo che nella trasposizione teatrale ho marcato le differenze con la madre descritta nel libro e aggiunto il personaggio del figlio. A impersonare Alessandro si alternano sul palco due giovanissimi interpreti, Bryan Ceotto e Simon Sisti Ajmone. Mi piacevano talmente entrambi che non ho saputo scegliere, così mi accompagnano a serate alterne, anche perché Simon frequenta ancora il liceo e non potrà essere presente a tutte le 50 repliche».
Completo smoking con giacca doppiopetto Tagliatore. Cappello Borsalino.
La decisione a 18 anni
Non crede che 18 anni (l’età di figl*) sia troppo presto per una decisione così importante?
«No, e lo dico con convinzione. Nascere in un corpo che non senti tuo è un trauma insostenibile per alcuni ragazzi, che possono arrivare all’autolesionismo se non addirittura al suicidio. La soluzione? Parlarne e affrontare questa situazione di disagio con persone competenti. Il mio spettacolo ha anche lo scopo di accendere i riflettori su un argomento complesso e spinoso, in modo che le persone possano liberamente parlarne, riflettere e assumere punti di vista più consapevoli».
Le madri sostengono più dei padri?
Di solito sono le madri a sostenere i figli in queste scelte. C’è forse più resistenza da parte dei padri?
«Non è detto. Per quello che ho scoperto, informandomi sull’argomento, tendo a credere che il genitore più in crisi sia quello con lo stesso sesso del figlio in transizione. Ma forse sono solo condizionata dal personaggio che interpreterò. La madre del mio spettacolo, per esempio, vive questo cambiamento fisico con molti sensi di colpa, come se il modello femminile da lei proposto fosse stato fallimentare, come se fosse lei la responsabile del corpo sbagliato in cui la figlia è nata».
Uomo-donna: lei cosa ha (o non ha) di profondamente maschile e femminile dentro di sé?
«Ho sempre provato ad abbattere gli stereotipi. Il gioco secondo il quale la fragilità, la nevrosi e una certa debolezza siano legate alla donna mentre concretezza, forza e controllo all’uomo, è per me un artefatto culturale. Personalmente credo di incarnare tanti aspetti in contemporanea. Da ragazza mi dicevano che ero un maschiaccio. Ho sempre avuto un fisico androgino e un’attitudine un po’ dura che mi è molto servita come qualità difensiva quando sono uscita da casa. Avevo 18 anni».
Stefania Rocca e i suoi figli adolescenti
Che madre è (Stefania ha due figli adolescenti Leone, 15 anni, e Zeno, 13, ndr)?
«Nessuno nasce genitore e nessuna donna nasce madre. Cerco di imparare giorno dopo giorno grazie agli insegnamenti dei miei figli. Ora siamo sbarcati nel periodo dell’adolescenza ma spero che la dialettica e l’ascolto non smettano di unirci e stimolarci».
Camicia maschile con colletto e polsini a contrasto Tagliatore. Gilet sartoriale Yes Zee. Pantaloni dalla linea maschile Berwich. Cravatta E. Marinella.
E che moglie è?
«Un disastro (scoppia a ridere, ndr)! A sentire mio marito una meraviglia! Forse entrambe. La giusta definizione è moglie fortunata. Ho al mio fianco un uomo fantastico con cui condivido rispetto e complicità».
Avere per marito Carlo Capasa, che è presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana, ha influenzato il suo stile?
«Più che influenza parlerei di reciproco riconoscimento: condividiamo un’estetica minimalista e non ci piacciono i loghi, siamo un po’ dark ed un po’ rock and roll. Andiamo d’accordo anche per questo. Diciamo che stare con Carlo mi ha fatto diventare più consapevole del concetto di stile, io sono più istintiva. Ho anche capito meglio cosa si nasconde dietro le quinte, il processo creativo degli stilisti, i concept delle sfilate. Moda e recitazione lavorano entrambi alla costruzione di mondi ed emozioni, raccontano personaggi e creano icone».
Ha una tenuta da provino?
«Mi presento più anonima che posso, maglietta, jeans e sneakers. L’ho imparato quando frequentavo a New York l’Actors Studio: l’attore deve essere come un foglio bianco, è il regista che decide il disegno».
E quando vuole essere wow!?
«Anche in questo caso non ho una tenuta d’ordinanza. Magari un abito lungo con un paio di tacco 12, ma escludo il troppo eccentrico. Mi piace l’understatement, non amo gli eccessi. Ho un unico vezzo: aggiungere sempre una punta rock».
Ha un capo amuleto che è nell’armadio da anni?
«No! E sa perché? Ogni volta che decido che un capo mi porta fortuna finisce che lo perdo. È matematico, così ho imparato a non fare di nessun capo un simulacro».
A proposito di armadi, se spalancassimo le ante del suo troveremmo…
«Un gran casino! Sono disordinata ma non sono un’accumulatrice seriale di scarpe o borse. Confesso però che lo sono stata. In passato collezionavo occhiali, cappelli e sneakers. Poi mi è successo di dover lasciare in un magazzino questo piccolo tesoro. Il locale si è allagato, è stato un disastro. Visto che non mi conviene affezionarmi agli oggetti? In un modo o nell’altro poi li smarrisco».
C’è un red carpet che l’ha fatta sentire una regina?
«Uno dei primi, a Cannes, dove nel ’97 ero per due film, Nirvana di Salvatores e Inside/Out, prodotto da Jean-Luc Godard. Avevo un vestito strepitoso di cui non ricordo il brand e avevo deciso di affrontare quel difficile tappeto rosso con un paio delle mie amate sneakers. Mi hanno detto che non era il caso e così l’ho percorso con le scarpe in mano. Più che regina, principessa scalza».
A parte il teatro cosa ci sta preparando?
«Verso il 15 febbraio uscirà in sala L’uomo che disegnò Dio con Kevin Spacey e la regia di Franco Nero, mentre più avanti sarò nella seconda stagione di Vita Da Carlo con Carlo Verdone su Paramount. Ma mi vedrete anche nel film La primavera della mia vita con Colapesce e Dimartino. Vi aspetto!».