La prima volta che ho sentito una canzone dei Police ero in un pub di Dublino frequentato da adolescenti. Message in a bottle arrivò dopo un paio di brani disco: quella musica, ipnotica e nuova, fu un’apparizione. All’improvviso eravamo già tutte innamorate di Sting. E lo siamo ancora. A 67 anni, nonno di 7 nipoti, il cantante inglese conserva quell’aria svagata, il fisico da ragazzo e gli occhi blu acceso che l’hanno reso un’icona. Lo incontro per la presentazione del suo nuovo album My songs e del tour che lo porterà per 3 date in Italia.
Vederlo da vicino fa un certo effetto
Non solo per i 100 milioni di dischi venduti in oltre 40 anni di carriera (senza contare i riconoscimenti: 17 Grammy, 2 Brits Awards, 1 Golden Globe, 1 Emmy, 4 nomination agli Oscar), ma anche perché per molti come me rappresenta un pezzo di storia della musica e un pezzo di storia personale. E lui lo sa: My songs è un tuffo nella memoria. Contiene Brand new day, Desert rose, If you love somebody set them free, Every breath you take… Tutti i suoi successi, riarrangiati con un sound più moderno. «È un album nato quasi per caso: mi avevano chiesto di suonare Brand new day a Times Square per Capodanno. Il giorno dopo la registrazione di quell’evento ero al settimo posto nella chart di iTunes. Ho pensato fosse possibile che i miei pezzi vivessero una nuova vita con un sound più contemporaneo».
«In questi brani c’è la mia vita»
Ogni canzone è corredata da un pensiero, testi che arricchiscono il libretto che accompagna il disco. «Questi brani sono la storia della mia vita. Mi riferisco non sempre a quelli che hanno avuto più successo, ma a quelli più legati ai ricordi: dove ero nel momento in cui li componevo, se ero felice o triste». Sting ha scritto If you love somebody set them free all’inizio del 1985, in una casa che nel 1800 era un pub di Hampstead, a nord di Londra: aveva appena traslocato e giura fosse stregata. «Non avevo idea di cosa fosse successo durante i secoli, ma c’era una strana atmosfera: se non proprio spaventosa, di certo inquieta e disturbante. Ascoltando il brano con attenzione, poi, trovi riflessioni sul mio matrimonio, sui figli, su quello che stava accadendo nel mondo. Mentre Every breath you take l’ho scritta in Giamaica, nella casa dove Ian Fleming creava le storie di James Bond. Forse ha preso un po’ dal quel personaggio: è una canzone seducente e ambigua allo stesso tempo, romantica, sexy e pericolosa. Magari è questo che piace e l’ha fatta diventare la mia hit più trasmessa in radio».
«Non credo alla perfezione»
Sting parla e muove le mani, grandi e forti. Al polso ha una serie di braccialetti, uno con una scritta in sanscrito. «La musica per me è un rapporto d’amore che dura da 40 anni, come un matrimonio. Registrare una nuova canzone è quasi un primo appuntamento: tutto è molto eccitante, però non conosci ancora le sfumature, la complessità, l’attenzione ai dettagli che invece acquisisci quando hai una relazione duratura». Il suo vero nome è Gordon Matthew Thomas Sumner, ma ormai quel nomignolo “Pungiglione”, che gli hanno affibbiato i suoi colleghi all’inizio della carriera per via delle magliette a strisce nere e gialle che indossava, se l’è appiccicato addosso.
Ed è Sting anche per i suoi 6 figli: 2 da un precedente matrimonio e 4 dall’attuale moglie Trudy, l’amore della sua vita. La passione è lo yoga, che ha studiato per 30 anni. «Sono arrivato a un livello in cui tutto è yoga: quando sono seduto, o cammino, o respiro. È parte della mia coscienza, un istinto». Per tenersi in forma, scopro, nuota tutti i giorni. E i bicipiti lo confermano. «Come musicista, ma anche come padre, uomo, marito, nonno, cittadino, penso di essere migliorato con gli anni. Ma non credo nel raggiungimento della perfezione, sarebbe noioso. Sono in continua evoluzione. Un analista, leggendo i testi delle mie canzoni, ci troverebbe delle cose interessanti: sono una persona meravigliosa o pessima? Forse entrambe, come tutti».
«A fine giornata amo stare in silenzio»
Sting passa gran parte del suo tempo in Toscana, a Figline Valdarno (Fi). «Lì produciamo vino. Mi piace vivere in campagna e sono attratto dal vostro modo di stare in famiglia, a tavola, parlando per ore. Una cosa che nei Paesi nordici abbiamo perso». A 67 anni si sente libero, positivo anche se «sono preoccupato per il mondo, come 30 anni fa». Quando ha fondato, nel 1989, il Rainforest Fund per proteggere le foreste pluviali e le popolazioni indigene. «Il climate change e l’inquinamento sono problemi esistenziali: significano rendersi conto se tra 20 anni riusciremo ancora a respirare o no, se i nostri figli potranno avere del cibo non inquinato».
A proposito dei social media dice che dobbiamo essere vigili e attenti, soprattutto con i ragazzi. «Non mi raggiungerete tramite Internet» precisa. E sul suo iPhone non c’è una playlist particolare: «La musica è la mia vita, la analizzo in continuazione, non la uso per rilassarmi. Suono ogni giorno tutto il giorno. E francamente l’ultima cosa che vorrei fare a fine giornata è ascoltare una canzone. Preferisco il silenzio».