Julia Roberts e George Clooney

Scena numero uno. «Mi perdoni, ma devo sedere da un’altra parte: siamo stati sposati». «I miei peggiori 19 anni». Scena numero due. «Cerca di russare piano». «Mi metto il cerotto nasale». Scena numero tre. «Era per farmi fare brutta figura?». «Non ti serve il mio aiuto».

Si potrebbe continuare a oltranza, perché gli esilaranti battibecchi tra lui (George Clooney) e lei (Julia Roberts) – fidanzati al college, sposati troppo giovani e infelicemente separati dopo la nascita della figlia – costellano tutti i 105 minuti di Ticket to Paradise. Merito della sceneggiatura e della regia firmate da Ol Parker (che già aveva diretto Mamma Mia! Ci risiamo), certo. Ma l’effetto non sarebbe così irresistibile se il lui e la lei in questione non fossero loro: George Clooney e Julia Roberts.

Al cinema insieme per la quinta volta

I due premi Oscar, amicissimi da oltre 20 anni, recitano insieme per la quinta volta in questa commedia romantica dove interpretano David e Georgia, ex marito e moglie che uniscono le forze – anzi, come dicono nel film, “marciano serrati” – per evitare che la figlia sposi un ragazzo che ha appena incontrato in quel di Bali… Con esiti tra il disastroso (vedi alla voce: furto delle fedi) e il surreale (immaginateli ballare ubriachi una canzone degli anni ’90 davanti a un gruppo di Millennials scandalizzati). Ma soprattutto con una complicità a base di risate che traspare anche nelle risposte che state per leggere.

Intervista a Julia Roberts e George Clooney

Sono passati 6 anni dal vostro ultimo film insieme, Money Monster di Jodie Foster. C’è una ragione particolare per cui avete accettato questa storia?
Julia: «Poter trattare male George? Mi è sembrata un’occasione da non perdere. E poi vederlo ancora così innamorato di me, in modo quasi patetico… Impagabile!».
George: «Evidentemente sono destinato ad avere a che fare con una donna orribile!».

Come avete capito che era il progetto giusto per voi?
George: «La sceneggiatura è stata scritta per me e Julia, addirittura all’inizio i nomi dei personaggi erano Georgia e Julian. Non facevo una commedia romantica dai tempi di Un giorno… per caso con Michelle Pfeiffer, era il 1996. E ho pensato che, se Julia avesse accettato, sarebbe senz’altro stato divertente».
Julia: «Con George ci punzecchiamo spessissimo, stile Jack Lemmon e Walter Matthau. Probabilmente metà degli americani pensa che siamo realmente divorziati».
George: «Be’, è giusto che siamo divorziati, Jules: sono un uomo sposato!»
Avete girato Ticket to Paradise durante la pandemia. Che effetto vi ha fatto?
Julia: «Entrambi proviamo gioia nel far sorridere il pubblico. Ed è stato bello tornare a farlo dopo il brutto periodo che ha vissuto il mondo intero».
George: «Abbiamo passato molti bei momenti insieme, pur lavorando in isolamento. Abbiamo girato a Hamilton Island, in Australia, un posto fantastico immerso nella natura. Julia aveva la casa accanto a quella dove stavo io, con Amal e i bambini. La mattina presto uscivo e imitavo i pappagalli: se lei rispondeva facendo lo stesso verso, le portavo il caffè. I gemelli, Ella e Alexander, che ora hanno 5 anni, la chiamano zia Juju».
Julia: «È vero, George mi ha viziata. Lui e Amal mi hanno salvato dalla solitudine. È stato il periodo più lungo che ho trascorso lontano dalla mia famiglia, per giunta durante la pandemia. Non credo di essere stata sola tanto a lungo da quando, nel 2000, ho girato il documentario Wild Horses of Mongolia».

Il momento del film che ricorderete per sempre?
Julia: «A parte la scena in cui dovevamo baciarci? Ci sono voluti 80 ciak: in 79 non la smettevamo di ridere, solo al numero 80 siamo riusciti nell’impresa!».
George: «Be’, dovevamo farlo bene. Quando l’ho raccontato ad Amal si è un po’ arrabbiata… Anche se non me l’ha mai detto, credo che sotto sotto fosse un tantino gelosa: tu sei Julia Roberts! Però c’è un altro episodio che non dimenticherò: dovevamo girare all’alba e mi sono presentato sul set alle 2 del mattino perché, dopo i 60 anni, ho bisogno di un profondo restauro al volto per nascondere le rughe!».

E una richiesta folle che avete fatto sul set?
George: «C’è una scena importante in cui balliamo e ho chiesto come colonna sonora Jump Around degli House of Pain. Il regista Ol Parker mi ha accontentato, nonostante la canzone fosse incredibilmente costosa: 1 milione di dollari al minuto. La scena dura 1 minuto e 4 secondi, ma è piaciuta così tanto che ci hanno “regalato” i 4 secondi in più».
Julia: «Io ho chiesto una Jacuzzi per fare idroterapia. Ma non è stata una mia idea, me l’ha suggerita George: la voleva usare lui!»

Siete amici da anni. Come vi siete conosciuti?
Julia: «Sul set di Ocean’s Eleven».
George: «Ci siamo incontrati al famoso Chateau Marmont su Sunset Boulevard».
Julia: «Ho sempre voluto conoscerlo: sapevo che ogni domenica sera invitava gli amici nel suo cinema privato a guardare un vecchio film e speravo chiamasse anche me…».
George: «Anche io desideravo conoscerla da tempo, perché l’ho sempre considerata un’attrice di grande talento. Poi ho scoperto in lei altre qualità che apprezzo tantissimo: non dà importanza alle sciocchezze e non si prende troppo sul serio. E lavora duramente, ma non la si vede mai sudare: una dote che accomuna i miei attori preferiti, come Spencer Tracy. Sudore controllato: ammirevole!».
Julia: «Mi stai facendo troppi complimenti, George! Soffri di ansia da separazione perché dopo questa intervista prendo un aereo e non sai quando ci rivedremo?»

La qualità che più ammirate nell’altro?
Julia: «Lui sa cucire benissimo. Sul set mi si era strappata una spallina di un vestito e me l’ha riparata alla perfezione. Come hai imparato, George?».
George: «Sono stato uno scapolo per parecchio tempo! Non solo. A inizio carriera non avevo soldi e mi arrangiavo: ho fatto di necessità virtù. Se dovessi decidere qual è l’unica persona che vorrei accanto per poter sopravvivere su un’isola deserta, sceglierei me. Anche i miei amici sceglierebbero me, chiedeteglielo! Sono un uomo pieno di risorse».

Entrambi state girando meno film. Perché?
Julia: «L’avevo deciso già prima della pandemia: preferisco produrre e scegliere pochi progetti su cui lavorare. I miei figli più grandi, Hazel e Finn, hanno appena iniziato l’università e cerco di essere più disponibile per loro. Oggi ho in programma un solo film: Leave the world behind, tratto dal romanzo di Rumaan Alam».
George: «Io inizio a perdere i colpi. Spesso dico a mio padre, che ha 88 anni: “Mi sento giurassico, sono un uomo di mezza età!”» E lui ride: “Quanti amici hai che hanno compiuto 120 anni?”».