La prima donna ministra della storia italiana
Tra le donne e gli uomini che hanno fatto l’Italia Tina Anselmi merita un posto d’onore. Partigiana, sindacalista, attivista, politica, prima ministra nella storia italiana, è morta a 89 anni il 1º novembre del 2016 a Castelfranco Veneto, la sua città, dove si era ritirata quando è stata colpita dal morbo di Parkinson. Ai giovani e alle giovani forse il suo nome dice poco, eppure se oggi abbiamo la legge sulle pari opportunità, sulla parità salariale e di trattamento tra uomo e donna nei posti di lavoro, è merito suo.
La fiction su Tina Anselmi
E a figure centrali come lei dobbiamo anche la riforma della sanità e l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale. Cattolica, con un occhio di riguardo al sociale e sempre dalla parte delle donne, Tina Anselmi era una combattente, aperta al dialogo «con quella intelligenza liquida che la fa scivolare sicura senza mai fermarsi davanti a preconcetti o a inutili divieti» dice Dacia Maraini nella prefazione a Storia di una passione politica (Chiarelettere), l’autobiografia scritta insieme ad Anna Vinci da cui è tratta la fiction Tina Anselmi. Una vita per la democrazia che andrà in onda su Rai Uno il 25 aprile, anniversario della liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Più volte si è fatto il suo nome per la Presidenza della Repubblica e a lei fu affidato uno degli incarichi più delicati: la presidenza della commissione parlamentare di inchiesta sulla Loggia massonica P2.
La fiction tv ricostruisce la storia di Tina Anselmi
Ben venga quindi il film per la tv con Sarah Felberbaum nei panni della politica: è un’occasione per far avvicinare tanti al suo pensiero sempre in difesa dei diritti e contro le ingiustizie. La fiction, come il libro, è un ritratto a tutto tondo di una donna che credeva per davvero negli ideali della giovane Repubblica e riponeva grande fiducia nell’azione politica come strumento di crescita civile e di progresso sociale. La prima scena è determinante. È il 26 settembre 1944. Tina è al liceo, a Bassano del Grappa, viene costretta dai soldati nazisti a uscire insieme alle altre alunne per assistere all’impiccagione di 31 giovani catturati durante un rastrellamento sul monte Grappa. Fra questi anche il fratello della sua compagna di banco. Quell’esperienza terribile segna una rottura: «Erano i nostri amici, i nostri fratelli, i nostri ragazzi. Non potevo rimanere indifferente» dice.
Partigiana a 17 anni
Pochi giorni dopo decide di entrare nella Resistenza. Non ha ancora 17 anni. «Sai cosa ti aspetta? Se ti prendono pregherai solo che ti ammazzino, perché ti faranno di peggio» le spiega il comandante partigiano. Il nome che Tina decide di adottare per questa sua nuova identità è Gabriella, come l’arcangelo Gabriele: «Non era forse un messaggero? Divino, certo, ma faceva la staffetta, più o meno come l’avrei fatta io». Di quel periodo Tina Anselmi ricorda la fame, le corse in bicicletta da una città all’altra, da Treviso a Castelfranco a Bassano, per garantire un canale di comunicazione fra le diverse brigate partigiane e intanto raccoglieva informazioni sugli spostamenti dei tedeschi. C’era l’entusiasmo proprio della gioventù, la voglia di cambiare il mondo. Non c’era la paura per il nemico, ma di trovarsi nella condizione di dover sparare a un uomo.
Tina Anselmi: una donna sempre dalla parte delle donne
«Credo che la presenza numerosa delle donne abbia segnato profondamente lo spirito della Resistenza, ammorbidendola nei suoi eccessi» ha detto. E le donne sono quelle con cui in tempo di pace si è ritrovata a portare avanti altre battaglie. Non si poteva tornare indietro ai tempi del padre padrone, ai mariti prepotenti, alla cura dei figli e dei campi. Tina, che nel frattempo si è iscritta all’università Cattolica di Milano dove studia Lettere, sostiene con la sua attività di sindacalista le operaie delle filande. Prive di istruzione, erano facilmente ricattabili, «su di me, che ero una studentessa, era difficile che il padrone facesse ritorsioni. Poi bisognava continuare a parlare con le ragazze, spingerle a restare unite, a iscriversi al sindacato, a tutelarsi, convincerle che un risultato ottenuto va difeso». Soprattutto, dirà in seguito: «Dopo quella prima giovanile esperienza, il mio interesse per la specificità della condizione femminile non sarebbe mai venuto meno».
È stata ministra negli anni più bui per l’Italia
A 19 anni va a Roma come delegata della Democrazia cristiana, conosce Alcide De Gasperi, Togliatti, Pertini. Dai capi politici, anche di diversi partiti, impara che «la democrazia non è tale se non ha profonde radici etiche». E durante tutta la sua carriera ha lottato per garantire alle donne la dignità e un posto nella società. Nel 1968, a 41 anni, entra per la prima volta in Parlamento. In quegli anni le donne impegnate in politica sono ancora delle pioniere e spesso lasciate sole. Tina Anselmi si batte per fare in modo che il potere non sia una prerogativa maschile. Trova solidarietà e la stessa passione nel raggiungere gli obiettivi in Nilde Iotti e Maria Eletta Martini e, anche se profondamente credente, impronta la sua attività politica sul principio della laicità. Nel 1976 diventa ministra del Lavoro, la prima donna alla guida di un ministero nella storia italiana. Nel 1978 è ministra della Sanità, sempre sotto il governo Andreotti, lotta contro la corruzione e gli sprechi. Vive i tragici giorni del rapimento Moro, suo mentore, e poi del suo assassinio per mano delle Brigate rosse. Ma il periodo più difficile per lei è dal 1981 al 1985: diventa presidente della commissione parlamentare che indaga sulla P2, una tra le pagine più inquietanti della storia della Repubblica. Riceve insulti e minacce e si ritrova isolata anche nel suo stesso partito. «È stata l’esperienza più sconvolgente della mia vita» ha detto in un’intervista a Famiglia Cristiana. «Solo frugando nei segreti della P2 ho scoperto come il potere, quello che ci viene delegato dal popolo, possa essere ridotto a un’apparenza».