«La prima cosa che ho pensato è stata: “Sono pazzi? Un giornale che vuole trasformare un libro in uno spettacolo teatrale?”. Quando mi hanno proposto di portare in scena le storie di Donne come noi mi sono stupita, ma subito dopo ho detto: “Ok, lo faccio”». Tosca, 50 anni, cantante e attrice, è prima di tutto una sperimentatrice: davanti a una sfida non si tira indietro. «Immergersi nella vita delle donne è come visitare terre straniere: non sai mai quello che puoi scoprire» racconta. «E io, che ho sempre la finestra aperta sul mondo e la valigia pronta, non vedevo l’ora di partire».
Come le protagoniste del libro e della pièce sulle scelte toste ma autentiche Tosca ha costruito la sua carriera a partire dal 1996 quando, dopo aver vinto il Festival di Sanremo insieme a Ron con Vorrei incontrarti tra cent’anni, ha rinunciato al futuro assicurato da cantante pop per seguire la sua passione: i canti tradizionali. «Non so accettare i compromessi, mi saliva la nausea quando i discografici mi chiedevano “Fai qualcosa alla Pausini”: con tutto il rispetto, il suo stile non è il mio. Allora ho iniziato a produrmi i dischi da sola».
Dove si trova il coraggio di una scelta così controcorrente a inizio carriera?
Ho imparato a non aver paura da mia nonna Josephine, emigrata al contrario: nata a Filadelfia e poi costretta a tornare in Italia negli anni ’20 quando la mamma morì di febbre spagnola. Mi ha insegnato ad allargare lo sguardo, a portarlo dove mi interessa, malgrado le avversità. Questo stesso atteggiamento l’ho ritrovato in una delle donne raccontate nello spettacolo: Patrizia Paterlini-Bréchot, l’oncologa che ha inventato il test per individuare precocemente le cellule tumorali. Lei a 7 anni inforcava la bici per vedere cosa c’era oltre i campi intorno a casa sua. Se senti una spinta forte vai, costi quel che costi.
Il successo non le interessa?
Preferisco essere la numero 1 in una piccola cosa che sento mia piuttosto che la numero 200 in qualcosa che dà tanta visibilità ma nulla dal punto di vista umano. Non vorrei sembrare ipocrita: tutti gli artisti sono felici di avere successo, però io desidero essere libera di mantenermi facendo ciò che amo.
È quello che insegna anche a suoi allievi dell’Officina Pasolini?
Sì, ho voluto creare nella mia città, Roma, un’accademia gratuita per offrire ai giovani la possibilità di coltivare il proprio talento artistico, senza seguire per forza la logica commerciale dei talent tv. Da quando abbiamo aperto, nel 2014, c’è stata una grande adesione e ora dai diplomati sta emergendo la nuova leva cantautorale italiana: da Carlo Valente a Marat, a Mesa. Piacciono perché portano sul palco un’emozione.
Succede anche a lei quando interpreta Donne come noi?
Sì. Ogni volta che andiamo in scena mi batte il cuore. E tutte le sere mi viene il groppo in gola a un certo punto in particolare: quando iniziamo a raccontare di Lucia Vedani, che a Milano e poi nel resto d’Italia ha aperto delle case di accoglienza per ospitare i parenti dei malati ricoverati lontano dalla loro città.
Cosa la fa commuovere?
Per un periodo ho portato mia madre a fare dei controlli a Bologna: intorno all’ospedale vedevo i familiari dei pazienti che dormivano in macchina o su una panchina perché non riuscivano a permettersi un albergo. Avrei potuto esserci io al posto loro.
L’emozione più forte che arriva dal pubblico?
Lo stupore. Quando chiedo di chiudere gli occhi e pensare a un progetto che vorrebbero realizzare, è come se le spettatrici, nella magia del buio della sala, arrivassero a pensare: «Queste donne hanno realizzato il loro sogno, allora posso farlo anche io». È una botta di adrenalina: all’improvviso sentono che tutto è possibile, e se ne stupiscono. Molte pensavano che non ce l’avrebbero mai fatta e avevano smesso di credere nei loro sogni.
Quando ci si mette in gioco, però, può capitare di fallire. Come si fa a non mollare?
Mio nonno, contadino, diceva: «La vita è come la natura: se pianti un seme devi anche mettere in conto che si secchi, ma tu devi essere pronto a piantarne uno nuovo». Anche se per una donna non è facile.
Un’artista è più penalizzata di un collega maschio?
Le cose stanno migliorando, ma rimane il pregiudizio che una cantante o attrice debba essere bella prima che brava. Io non sono mamma, ma se avessi una figlia femmina le insegnerei a ritrovare la bellezza di essere donna a prescindere dall’aspetto. L’ho capito una sera, all’università: ero sotto esame e alcuni amici mi avevano proposto di uscire. Tra loro c’era un ragazzo molto bello e molto corteggiato: io mi presentai vestita com’ero in casa mentre studiavo. E lo conquistai.
Come?
Parlando, ridendo, scherzando. Insomma, giocando la mia carta migliore: essere me stessa.