Tosca torna a Sanremo dopo 13 anni (e la vittoria nel 1996 al fianco di Ron con Vorrei incontrarti tra cent’anni) con un brano dal suono antico, capace di creare una dimensione intima che mette in risalto le sue doti vocali: “Ho amato tutto”. Negli ultimi tre anni ha girato il mondo a incontrare artisti, portando avanti il suo lavoro di ricerca in musica che la vede anche, dal 2015, coordinatore generale e direttore della sezione canzone dell’Officina delle Arti Pier Paolo Pasolini, laboratorio di alta formazione artistica e Hub Culturale della Regione Lazio. Nella serata delle cover canta Piazza Grande (Lucio Dalla, 1972) con Silvia Perez Cruz. Sarà in tour da marzo.
Cos’ha pensato quando Amadeus le ha telefonato?
Inizialmente non credevo fosse lui. L’ho fatto parlare, mi chiedeva “come stai”, con tono molto gentile. Mi ha detto che i big quest’anno non sarebbero stati 22 ma 24 e che la ventitreesima ero io.
Ho riso, ho pensato fosse uno scherzo di Fiorello e l’ho trovato anche di pessimo gusto. Ho cercato quindi di tagliare corto, ero stanca, avevo avuto una giornata faticosa. Lui rideva, non aveva calcolato fossi amica di Fiore. Ho capito che non era uno scherzo quando è andato sul dettaglio della canzone. Ed è stata una cosa molto bella. Sicuramente anche ansiogena, perché mi sono sentita subito in ritardo rispetto agli altri.
Con chi ha condiviso la notizia?
Subito con il mio compagno Massimo Venturiello. Non potevo però dirlo a nessun altro, Amadeus mi ha chiesto di portare pazienza, c’era stata una gran fuga di notizie. Ho chiesto di poter almeno avvertire il mio manager e ho dato a tutti gli altri appuntamento a casa mia un’ora prima di andare in Rai il 6 gennaio. Sono arrivati tutti pensando che me ne volessi andare via dall’Italia, anche un po’ scocciati dal fatto che li stessi convocando in un giorno di festa.
Ci parla del brano Ho amato tutto?
È sicuramente una canzone intima. Parla di una donna che fa un bilancio. Non è una storia di amore finita, è proprio presentarsi di fronte all’uomo, al proprio amato o amata in generale, senza nessun bisogno di giudicare. Il succo è “quando ti vedo per me sei la casa, non stare a guardare tutto il resto”. È una dichiarazione d’amore e un bilancio. Se è vero che il tempo ci rincorre oggi sono questa faccia questa carne e queste ossa. E con lui tutte le cose che ho amato. Tutto quello che si è fatto è un bagaglio, non importa come cadi ma come ti rialzi.
Lei ha mai fatto un bilancio?
C’è un momento in cui tiri una linea, ma la tiri anche per capire da che parte andare. Viviamo in un momento storico molto duro, nell’essere donna. Si sono fatte mille conquiste, ma queste conquiste vengono messe da parte e dimenticate. Viviamo in una società dove devi sempre essere appetibile, accondiscendente. È difficile per chi vuole fare musica, teatro o cinema. È molto difficile perché l’arte viene consumata più che ascoltata, vista o sentita. Consumata. Invece bisognerebbe riportarla nel giusto ruolo. L’arte va vissuta, la musica ascoltata e recepita.
Il ruolo della donna nella musica secondo lei come è cambiato in questi anni?
C’è una grande disparità artistica. Le donne sono sempre meno considerate. E piano piano c’è sempre il retaggio della bellona che deve cantare. In Italia c’è stato un arresto, la musica è diventata competizione e più alzi la competizione e vai in velocità, più abbassi il livello di qualsiasi cosa. È una semplice legge della domanda e dell’offerta. Il mondo femminile è stato penalizzato. Con Officina Pasolini, di donne ne ho viste tantissime e coltivate tantissime. Artiste meravigliose, che hanno sempre cercato di lavorare sull’essenza più che l’apparenza, che fanno un lavoro certosino e incontrano tante difficoltà. Eppure il corpo è ancora quello che si vede, di quello che si è. La discografia è purtroppo un mondo molto maschile.
Sanremo perché?
Mi sta a cuore far conoscere certa musica che non è così immediata ma che ha molta importanza. Dovrebbe andare di moda quello che non si conosce. Utilizziamo i media per far conoscere. Oggi la rete dà illusione di conoscere tutto, ma in realtà c’è tanta apparenza, la velocità è superficialità. L’arte invece è tempo e silenzio. Per citare Fossati “ci vuole tempo per costruire”.
Hai girato il mondo con il suo spettacolo, cosa hai visto e assorbito che più ti ha colpito?
Ho conosciuto artisti meravigliosi, sono andata a cercarli. Ho amato la cura per la musica, in paesi come il Portogallo. Da una legge che parte dal Brasile è rinata la musica giovane perché è arrivato un aiuto fiscale a tutti coloro che avevano piccole attività culturali. Ho trovato tantissima fruizione di musica sotto casa, ragazzi stimolati a fare. Oggi abbiamo tantissimi giovani che vanno nei talent show. Non trovo che sia corretto demonizzarli, ma dipende dall’uso che se ne fa. Se il talent viene usato per fare da cassa di risonanza per cose già esistenti, su ragazzi che hanno già il loro percorso, può essere utile. Diversamente si creano cose costruite a tavolino. Non credo nel successo facile, come arriva crolla. Ognuno deve fare un pezzo di fatica. Nessun mestiere può durare, senza fatica.
Hai già pensato al look sul palco?
Cedo di aver trovato cose molto eleganti, ma sarò sobria. Porto la mia voce.
La cosa che non puoi assolutamente dimenticare a casa.
La medaglia di mia nonna, una donna fantastica che porto sempre con me. E poi il passaporto. Sono sempre pronta ad andare via. In un mondo che vuol chiudere fuori le persone, io tengo stretto il passaporto tra i denti.
Come ti stai preparando?
La voce è un muscolo, va allenato. Ho sempre con me la mia borsetta di medicine per cui i miei amici mi prendono in giro. Poi però quando hanno bisogno vengono a chiedermele. Avrei voluto fare la dottoressa, mi piace molto la medicina, mi piace leggere le composizioni dei medicinali, non ne uso ma sapere che ci sono mi tranquillizza.