Camelot: una parola per descrivere un’epoca e un’epica che affondano le radici in un tempo lontano, forse sospeso (al punto che ancora ci si domanda: è successo davvero o era solo la favola che tutti volevamo farci raccontare?). Camelot: un regno governato da una coppia che dire principesca è poco, e cioè John e Jacqueline, per il mondo JFK e Jackie. Camelot: un castello a forma di Casa Bianca e il più nobile dei blasoni della giovane terra d’America, la stirpe dei Kennedy. Quel tempo non ha smesso di vivere e oggi lo fa in una mostra – The Kennedy Years, fino al 13 ottobre al Palazzo delle Stelline di Milano – che ripercorre il mito, l’icona, il culto e insieme le ombre, i fantasmi, i misteri di un matrimonio.
Incarnavano il mito della perfezione
«Ci sono 2 tipi di donne: quelle che vogliono il potere nel mondo e quelle che vogliono il potere in amore». Così parlò Jackie, e chissà in quale identificava se stessa. Di certo con John Fitzgerald toccò il primo per un periodo politicamente molto breve (dal 20 gennaio del 1961 al 22 novembre del 1963, giorno del tragico attentato di Dallas che tolse la vita al presidente a soli 46 anni), ma che nell’immaginario collettivo non sembra avere fine. L’espressione “power couple” è di fatto nata con loro: prima, nessun altro aveva saputo incarnare così perfettamente il glamour al comando, la telegenia amministrativa, il fascino di Stato su scala globale. Un’altra frase pronunciata dalla first lady più famosa della Storia resta nella memoria collettiva: «La prima volta ti sposi per amore, la seconda per i soldi, la terza per la compagnia». JFK è stato il primo marito di Jacqueline Lee Bouvier, il secondo sarà l’armatore greco Aristotele Onassis, il terzo non arriverà mai. Dopo le prime nozze, il 12 settembre 1953 (1.200 invitati, 300 giornalisti e la benedizione di Papa Pio XII), l’amore diventa potere in un istante.
Un potere, prima di tutto, mediatico
«JFK è stato il più giovane presidente eletto negli Stati Uniti e Jackie, quando è arrivata con lui alla Casa Bianca, non aveva ancora compiuto 32 anni» osserva Marilisa Palumbo, giornalista del Corriere della Sera esperta di Usa e autrice del saggio Politica è narrazione (Manifestolibri). «La bellezza, la giovinezza e la provenienza da famiglie agiate sono le ragioni del loro mito. Ma lo è, soprattutto, la loro modernità. Sono stati la prima coppia politica a costruire e a usare consapevolmente la propria immagine, a dare un’apparenza di intimità agli americani: come quando Jackie fa entrare le telecamere dentro la dimora presidenziale. Il rapporto che stabiliscono con i cittadini è quello che solitamente intercorre tra una famiglia reale e i suoi sudditi».
Negli scatti che rivediamo oggi, il potere si gioca anche a colpi di guardaroba: i completi istituzionali e i maglioni da vela della villeggiatura a Hyannis Port per lui, le tenute dello stilista Oleg Cassini per le visite ufficiali di lei. Fino al tailleur rosa firmato Chanel e macchiato di sangue, quel pomeriggio a Dallas. Camelot è stata una favola, ma senza lieto fine.
Celavano i segreti del matrimonio
Quello che accade nella vita di una coppia quando la porta di casa si chiude nessuno può saperlo. Se poi la casa è la Casa Bianca, il mistero diventa ancora più fitto. Alcuni di questi segreti li adombra una frase della stessa Jackie: «Non credo che ci siano uomini fedeli alle loro mogli». Le scappatelle del presidente sono note: dalla diva Marilyn Monroe, che intonò la celebre Happy birthday, Mr. President e condivise molti voli di Stato sull’Air Force One, alla scomoda Judith Campbell, fidanzata del boss mafioso Sam Giancana, fino a uno stuolo di hostess, assistenti, persino prostitute. Sulla relazione adulterina di Jackie con il cognato Bobby, assassinato anche lui, durante la campagna elettorale presidenziale del 1968, non sapremo mai la verità. «John e Jackie sono vissuti quando il mondo della politica e della comunicazione non macinavano idoli, quando gli scandali sessuali erano noti ma tenuti nascosti, quando non potevamo leggere le esternazioni di un presidente su Twitter: c’era ancora distanza, mediazione» commenta Marilisa Palumbo.
Hanno costruito un mito senza tempo
«Quando è sopraggiunta la morte tragica a congelare quel quadro di perfezione, neanche le successive rivelazioni sono mai riuscite a scalfirlo». Prima dei colpi che lo uccisero, JFK pronunciò queste parole: «Non voglio la capote sulla macchina, le texane devono vedere quanto è bella Jackie». L’immagine era tutto, fino alla fine. L’immagine andava preservata. Fu Jackie, di fatto, a inventare la leggenda di Camelot, e a cristallizzarla. «Prima di andare a dormire, Jack (così lo chiamava lei, ndr) metteva sempre dei dischi» raccontò a Theodore White, il giornalista del settimanale Life a cui concesse la prima intervista da vedova. «Nella canzone che amava di più c’è un verso che recita: “Non dimenticate che ci fu un luogo che per un breve, splendente momento fu chiamato Camelot”». Così è nato il mito. In quell’attimo che durerà per sempre, dietro quella porta che nemmeno un album di fotografie ci potrà mai far varcare. Anche se siamo tutti ancora lì.