«Se provi sempre a essere normale, non scoprirai mai se sei straordinaria» scrive Ute Lemper nella sua autobiografia La viaggiatrice del tempo (Baldini+Castoldi), quando racconta che agli inizi della carriera, in sala prove, obbediva al severo insegnante di danza. «Ogni giorno esercitavo i miei strumenti, il corpo, e più tardi anche la voce, per poterla un giorno usare in modo virtuoso». Straordinaria, poi, lo è sempre stata. Grazie a quel corpo e a quella voce ha attraversato il tempo, le città, la storia e la cultura. È stata protagonista in teatro con Cats, L’angelo azzurro, Chicago (col quale ha vinto un Laurence Olivier Award nel 1998) e Cabaret (Premio Molière nel 1987). Ha recitato in L’ultima tempesta di Peter Greenaway e, col pancione, in Prêt-à-porter di Robert Altman. Per lei hanno scritto canzoni Nick Cave, Elvis Costello, Philip Glass e Michael Nyman.
Oggi quella ragazza bionda, nata a Münster nel 1963, con le gambe lunghe e il fascino di Marlene Dietrich, è una signora elegante che vive a New York e ancora incanta il mondo col suo carisma interpretando le canzoni di Bertolt Brecht, Kurt Weill e Jacques Brel e regalando travolgenti sound jazz sui palcoscenici di tutto il mondo. La incontro a Milano per parlare della sua storia, delle sue origini, della Berlino della Guerra fredda dove è cresciuta. Durante il fervore creativo del movimento del nuovo cinema tedesco degli anni ’80, quello di Rainer Werner Fassbinder, Margarethe von Trotta, Wim Wenders, «film malinconici, realistici, ma Fassbinder è un’altra storia: era molto crudo» mi dice.
L’autobiografia di Ute Lemper
L’intervista a Ute Lemper
Il suo libro si apre con una frase di Marlene Dietrich, che le consigliò di mantenere segreta la sua vita privata. Invece lei la racconta. Perché?
«È successo 35 anni fa (ride, ndr). In Francia i giornali mi avevano chiamato “la nuova Marlene” e lei, che allora aveva 87 anni, mi telefonò. Abbiamo parlato per 3 ore, era traumatizzata dal fatto che la Germania, il Paese che amava, l’avesse ripudiata considerandola una traditrice perché era andata a Hollywood ed era entrata nell’esercito americano durante la Seconda guerra mondiale. Allora mi disse quella frase. Ma a 30 anni, poco dopo, scrissi un’autobiografia. Ne ho usato alcuni estratti per questa versione nuova. E ho messo a confronto la me più giovane con quella di oggi per riflettere sullo spirito che avevo all’epoca, per comprendere i miei anni ribelli. Erano anni di incredibile trasformazione, non solo dentro di me: la Germania si stava risvegliando dopo la caduta del muro di Berlino. C’erano memorie vivide in quella vecchia autobiografia, erano così dettagliate ed emozionanti che dovevo recuperarle».
Che effetto le ha fatto rileggere i suoi pensieri da giovane? Cosa ha imparato?
«Mi sono resa conto che la mia vita è stata una lunga metamorfosi, una naturale evoluzione che dura nel tempo. È normale che, invecchiando, capisci le cose di più e diversamente; ma continui a cercare, a provare. Direi che il mio viaggio fino a qui sia stato un tentativo di purificarmi. Quando sei giovane vuoi provare tutto, sei travolto dalle impressioni e dalle esperienze della vita, a 60 anni invece vuoi allontanare le esperienze negative che ti rendono infelice. Dai più importanza alla libertà, alla serenità, alle cose che ti rendono orgogliosa di te stessa. Il corpo cambia, invecchia, ma la testa e lo spirito crescono».
Aneddoti e ricordi di una relazione tossica
Nel suo libro c’è anche il ricordo di un brutto periodo accanto a un uomo violento.
«Ero molto giovane e per lungo tempo non ne ho mai parlato perché è un ricordo troppo doloroso e personale. Ciò che era difficile da digerire era non solo la persona, ma il meccanismo che si era instaurato. Lui era influente, potentissimo nell’ambiente, molto colto e rispettato, ma aveva un disturbo della personalità: era collerico, ossessivo-compulsivo, narcisista. Non mi sono mai sottomessa e ora che ho 60 anni mi considero una donna emancipata, non permetterei mai a un uomo di dirmi cosa fare. Lui però controllava i miei concerti, le mie finanze, ed era il mio amante. Non sapevo cosa fare, eravamo troppo legati professionalmente. Era una situazione molto complicata, basata sul potere. Dopo due anni, però, sono riuscita a rompere quella relazione lavorativa e sentimentale e ad andare via».
Si capisce, anche leggendo La viaggiatrice del tempo, che la sua vita non sia sempre stata facile.
«Sì, però la cosa più faticosa è stata conciliare la maternità (ha due figli grandi, Max e Stella, di 29 e 27 anni, e due più piccoli, Jonas e Julian, di 12 e 18 anni, avuti dal secondo marito, ndr) con una professione artistica così impegnativa. Stare separata dai miei figli, ancora oggi, è una grande sofferenza. Ma quando hai successo e talento è una responsabilità, un privilegio, portare agli altri il tuo messaggio. Io ho iniziato la mia carriera giovanissima, avevo una tale passione, una tale curiosità… Ho viaggiato in tutto il mondo, sono stata la voce dei giovani tedeschi, quasi come una “ambasciatrice” che poteva parlare onestamente di cosa volesse dire sentire il peso dell’eredità della Guerra Fredda, del nazismo e dell’Olocausto. Mi sentivo obbligata ad aprire un dialogo sulla mia identità. Era una grande sfida e un impegno».
L’esperienza della maternità e gli incontri importanti
E poi è diventata mamma.
«Perché sono una donna che ama, a cui piace dare. Dare, nella vita, ti rende più grande. E spero di essere di ispirazione anche per i miei figli».
Nel libro parla anche dei suoi incontri.
«Sono le esperienze umane che ho fatto negli anni. Per me importantissime: parlo degli incontri avuti con una ragazza piena di speranze in Israele, con un ex chirurgo e poi deluso tassista a Mosca, con chi cercava di scappare nella Germania divisa durante la Guerra fredda. Gente comune che ha affrontato delle sfide, mi ha aperto gli occhi e mi ha insegnato cosa vuol dire essere sopravvissuti e avere coraggio. Non sono un’artista che ama stare sul piedistallo. Preferisco stare nella vita reale con persone reali. E qui parlo di quello che ho davvero vissuto: la perdita dei miei genitori, dell’amore, della fiducia. Di quello che ho provato e provo».