Rhett Butler, il più memorabile dei personaggi interpretati da Clark Gable, anche stavolta pronuncerebbe le fatidiche parole: «Francamente me ne infischio». O forse, in era di dibattiti social sempre più accesi, si metterebbe a rispondere ai commenti su Facebook. Certo è che la scelta di rimuovere, almeno temporaneamente, Via col vento dalla piattaforma di streaming HBO Max (per ora attiva solo negli Stati Uniti) ha scatenato una nuova guerra di secessione.
Da un lato c’è chi lo ritiene un atto di censura, dall’altro chi accetterebbe un ritorno online della pellicola solo se “ricontestualizzata” alla luce della sensibilità attuale. Ovvero: con l’aggiunta di un’introduzione per spiegare le scene oggi considerate scorrette, modalità che la stessa HBO ha deciso di adottare.
Nel mirino è finito il razzismo presente nella storia di Rossella O’Hara nata dalla penna di Margareth Mitchell, tra servitù nera e schiavismo vero e proprio. Che però è anche l’elemento attraverso cui uno dei film più visti di sempre ha saputo mostrare a una vastissima platea internazionale la realtà (certamente romanzata) dell’800 americano, oltre che far vincere uno dei suoi 8 Oscar alla “Mami” Hattie McDaniel, prima attrice afroamericana a ricevere la statuetta. Ma adesso tutto questo non basta più. Anzi, l’urgenza pare quella di rivedere – letteralmente – ogni opera di ieri con gli occhi di oggi.
Film e libri sono testimoni del loro tempo, nel bene e nel male
La domanda è una sola: è possibile? E divide le stesse comunità coinvolte. L’appello a cancellare Via col vento – sollevato nel pieno delle proteste seguite all’omicidio dell’afroamericano George Floyd da parte di un poliziotto e subito accolto dalla piattaforma – è arrivato da John Ridley, sceneggiatore di colore premio Oscar per 12 anni schiavo, che ha indirizzato una lettera aperta al Los Angeles Times: «Quel film è una glorificazione del Sud che, oltre a ignorare certi orrori dello schiavismo, contribuisce a perpetuare molti stereotipi sulle persone di colore». Ma non tutti concordano sulla necessità di censurare (o anche solo spiegare) i classici di una volta.
«Via col vento è parte integrante della storia del cinema» ha commentato Stephanie Allain, produttrice, anche lei afroamericana, di capisaldi della black culture come il film Boyz n the hood – Strade violente e la serie Dear white people. «Non penso sia giusto eliminarlo. Piuttosto, rivediamolo: solo così, nel pieno della lotta che stiamo affrontando adesso, potremo capire le discriminazioni passate».
È la stessa analisi che molti fanno a proposito di Nascita di una nazione, diretto da David Wark Griffith nel 1915: uno dei titoli che hanno gettato le fondamenta del cinema Usa, ma anche «uno dei diretti responsabili della rinascita del Ku Klux Klan all’inizio del ’900», come sostiene lo scrittore e attivista Jelani Cobb.
Eppure il film è un capolavoro da sempre mostrato agli studenti di cinema nelle università come testimone del suo tempo sia nel bene (le pionieristiche prodezze tecniche) sia nel male (la sua etica altamente discutibile), senza bisogno di una messa al bando.
Titoli prima considerati innocui o rivoluzionari ora passano per politicamente scorretti
Il revisionismo corrente sembra accomunare tutto: da classici apparentemente innocui come Colazione da Tiffany, reo di aver affidato il ruolo del giapponese Yunioshi al comico bianco Mickey Rooney, a serie di culto tra gli anni ’90 e 2000 come Friends, da tempo tacciata di scarsa “diversity”. Tanto che una delle creatrici, Marta Kauffman, ha di recente fatto pubblica ammenda: «Sul tema dell’integrazione non ho fatto abbastanza» ha dichiarato tra le lacrime, in riferimento al fatto che tra i personaggi principali e secondari non fossero rappresentate le minoranze razziali.
Alcuni casi più recenti, poi, sembrano veri paradossi. The Help, film del 2011 che illustrava la segregazione razziale anni ’60 attraverso le parabole delle cameriere di colore, viene ora rinnegato dalle sue stesse interpreti, come Bryce Dallas Howard, per il punto di vista troppo “white”. Killing Eve – serie creata da una donna (la Phoebe Waller-Bridge di Fleabag) che vanta il primo Golden Globe assegnato a un’attrice di origine asiatica (Sandra Oh) e che ha riletto al femminile un genere storicamente maschile come l’action – è oggi incredibilmente criticata per il suo team di sceneggiatori troppo poco “diversificato”: tra i 16 autori fotografati in una videocall di gruppo non c’era nemmeno un afroamericano, il che ha sollevato l’indignazione social.
I giovani hanno meno pregiudizi degli adulti
La questione è delicata, e riguarda la formazione delle generazioni cresciute nel secolo scorso. Prima del “caso Rossella” su HBO Max, Disney+ aveva già inserito delle avvertenze davanti a molti classici della nostra infanzia: da Dumbo (per la caratterizzazione “nera” dei corvi canterini) a Il libro della giungla (per le scimmie jazziste troppo vicine al cliché del musicista afro). Fino a Lilli e il vagabondo, colpevole di offendere gli asiatici coi suoi gattini siamesi, tanto che il loro numero musicale è assente dal recente live action distribuito direttamente in streaming.
Oggi probabilmente non passerebbero l’esame del politicamente corretto nemmeno Lady Oscar e la sua “confusione” gender o Heidi e il trattamento edulcorato riservato alla disabilità. E così torniamo al punto di partenza. L’ultimo interrogativo da porsi è: i bambini e gli adolescenti di oggi hanno davvero bisogno di tutti questi “disclaimer”? Non sono loro i primi a riconoscere come superate le opere di ieri grazie a una contemporaneità finalmente diversificata anche nei modelli culturali? Basti pensare a successi come Oceania a Black Panther o ai cast sempre più multirazziali delle serie teen.
Persino il nuovo Piccole donne, nonostante il romanzo di Louisa May Alcott da cui è tratto metta al centro una famiglia protestante bianca, è stato accusato di essere poco “black”. Ma la giornalista Kaitlyn Greenidge, afroamericana, ha raccontato sul New York Times di quando è andata a vederlo insieme alla sorella e alle nipotine: ragazze nere di generazioni diverse hanno saputo apprezzare una storia universale, empatizzando con le ragazze bianche sullo schermo. Al di là delle polemiche, delle spiegazioni, delle censure. Ognuno ha la sua storia: guardiamola dritta negli occhi, solo così potremo capire se è giusta o sbagliata.