Viggo Mortensen indossa un completo di lana blu e ha una calma zen. Il divo di una delle saghe più amate di sempre (lo ricordi nel ruolo di Aragorn in Il Signore degli anelli?) conferma la fama di attore che preferisce i piccoli progetti indipendenti. Come Captain Fantastic di Matt Ross, una delle sorprese del 2016: presentato con successo al Sundance e a Cannes, è ora alla Festa del cinema di Roma nella sezione Alice nella città, per poi arrivare nelle sale a Natale.
Il film racconta la storia di Ben, interpretato dal 57enne Viggo: un padre rimasto solo che educa i 6 figli con metodi poco ortodossi. Assegna loro letture impegnative, risponde a ogni dubbio su sesso e religione, lascia che da soli imparino il senso della vita. Ne viene fuori il ritratto di una di quelle famiglie che oggi si chiamerebbero “disfunzionali”. Ma a ogni lacrima fa eco una risata.
Perché hai accettato questo film? «Non capita molto spesso di leggere copioni così intelligenti. E poi mi metteva di fronte a una sfida».
Quale sfida? «Recitare da solo con 6 bambini, un’impresa durissima! Mi sono subito chiesto: come possiamo mettere insieme così tanti ragazzini in un solo film? Avevamo poco tempo per girare, e i genitori dei miei “figli” dovevano assicurarsi che la mattina arrivassero sul set riposati, e con le battute pronte. I ragazzi sono stati eccezionali. I più piccoli ogni tanto si dimenticavano di essere davanti alla macchina da presa: erano i momenti più veri».
Essere padre (di Henry Blake, oggi 28 anni, ndr) ti ha aiutato? «La domanda che si pone Ben, il mio personaggio, accompagna anche me da tutta la vita: sto facendo la cosa giusta? Non esiste una sola risposta. Quando si cresce un figlio bisogna assumersi dei rischi: ascoltare sempre e comunicare tutto, anche le cose più difficili. Negli anni ho imparato dai miei errori di padre a lasciare da parte la paura di non fare abbastanza. Ho scelto di mettermi in gioco, perché le scorciatoie sono sempre dannose. Non ho mai motivato un divieto a mio figlio con un “Perché no”, ho sempre spiegato le mie ragioni. Un genitore tende a non farlo, perché è una cosa che richiede tempo e fatica: io non mi sono mai tirato indietro».
Gallery a cura di Samantha Pascotto
La famiglia di Captain Fantastic è unica. «Lo sono tutte. Ciascuno di noi getta le fondamenta del suo vivere quotidiano, che muta ogni giorno. Se vieni a cena a casa mia una sera e ci torni quella dopo, l’atmosfera può essere completamente diversa. Dobbiamo fare tesoro di questo continuo cambiamento, invece la società tende ad omologarci. Soprattutto negli Stati Uniti».
Cosa non ti piace del tuo Paese? «Trovo che la gente abbia smesso di parlare, di confrontarsi, anche in famiglia. L’unità tra gli esseri umani è sempre il risultato di uno sforzo, che può essere bellissimo. Sembra invece che oggi sia una fatica che non vale la pena di sobbarcarsi».
Ben educa i suoi figli a casa. Tu hai mai pensato di farlo? «No, ma vedo che l’homeschooling è una tendenza in crescita. Da un lato, perché a scuola, specie nella provincia americana profonda, si trovano sempre più spesso professori che insegnano che il mondo è stato creato da Dio in una settimana, ignorando il Big Bang e la teoria scientifica dell’evoluzione. Dall’altro, perché la storia di certe etnie – penso agli afroamericani – non è ancora rappresentata a dovere nei programmi ufficiali. Perciò capisco la scelta dell’educazione “fai-da-te”».
Il film è ambientato perlopiù in mezzo ai boschi. Anche nella vita sei così “selvaggio”? «La gente mette insieme le frasi di vecchie interviste che ho rilasciato e alcuni personaggi che ho interpretato e pensa che io sia una specie di uomo delle caverne, che vive su un albero o su un’isola deserta (ride, ndr). Però, è vero, sento fortissimo il richiamo della natura, il mito americano dell’uomo che fugge da tutto e si reiventa in mezzo al nulla: forse a voi europei può far sorridere. Mentre giravamo Captain Fantastic sono andato alla Mostra di Venezia per presentare un film: aerei, barche… Confesso che non c’ero più abituato. Avevo l’urgenza di tornare nella foresta!».
Anche in questo film c’è un tuo nudo integrale: ormai sembri collezionarli! «È stata un’idea del regista, io gli ho semplicemente detto: mi spoglio solo se pensi che sia importante per la storia. Si vede che era indispensabile! » (ride, ndr).
I tempi dei kolossal come Il Signore degli anelli sembrano lontani, ora le tue scelte sono diverse. «Non le faccio apposta, è che quei film portano via troppo tempo. Ho una famiglia a cui voglio dedicarmi (dal 2009 Viggo è legato all’attrice spagnola Ariadna Gil, ndr), un padre anziano che ha bisogno delle mie cure, una casa editrice di libri fotografici che mi tiene molto impegnato. E poi voglio avere la possibilità di lavorare bene: nei piccoli set è possibile, c’è più amore. In Nuova Zelanda, proprio dove ho girato Il Signore degli anelli, dicono: “Un lavoro alla volta, e ogni lavoro sarà un successo”. Da quando l’ho sentito, è diventato il mio motto».