Quando mi è arrivato in lettura Ragioni per continuare a vivere. La storia vera della mia depressione e di come ne sono uscito, di Matt Haig (Ponte alle Grazie, 14,90 euro), la prima reazione è stata: ancora la depressione? Non fraintendetemi, ovviamente se ne deve parlare, ma mi sembrava che, negli ultimi tempi, il problema fosse stato sviscerato non poco. Poi ho visto i dati: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2001 la depressione si trovava al quarto posto fra le malattie causa di invalidità e si prevede che entro il 2020 raggiungerà il secondo posto, dopo le malattie cardiovascolari.  E per quanto riguarda l’Italia, nell’ultimo rapporto dell’Istat si legge che sarebbero 2,4 milioni le persone depresse.

Quindi ho letto il libro, e l’ho trovato confortante, leggero nonostante il tema, con un approccio fresco. Perché l’autore ha deciso di raccontare, in modo diretto e coraggioso, la storia della sua depressione, che l’ha colpito a 24 anni. Lo ha fatto in modo volutamente frastagliato e disomogeneo (elenchi di parole e cose che lo facevano stare male e bene, racconti di sintomi, aneddoti), come un amico che ti racconta la sua storia. E ti dice che farcela è possibile. L’ho intervistato per sapere qualcosa di più.
 
Negli ultimi anni la depressione è stata approfonditamente studiata, se ne è parlato molto. Come mai ha pensato che ci fosse ancora spazio per un altro libro sull’argomento?
Mi ricordo benissimo che quando ero malato, la depressione mi ha scoraggiato dalla lettura di molti libri scientifici e accademici pesanti e carichi di informazioni tecniche, libri la cui lettura tendeva a farmi sentire ancora più malato. Così ho pensato di scrivere qualche cosa in cui il lettore possa identificarsi o col quale almeno possa rapportarsi. Un libro che aiutasse chi non è mai stato depresso a capire la depressione e chi l’ha vissuta sulla sua pelle a spiegarsela un po’ meglio. Ho pensato che la cosa migliore fosse descrivere in modo molto franco la mia esperienza personale.

Nel libro scrive che per qualcuno (fa gli esempi, fra gli altri, di Churchill e Lincoln) la depressione fu quasi un “aiuto” nella via per il successo. Può essere davvero così? Può una condizione patologica diventare uno stimolo a superare i propri limiti?
Sono stato molto malato, ma quando sono guarito o, diciamo meglio, ho imparato a convivere con la depressione, è stato come sentirmi capace di qualsiasi cosa. Quando sei depresso quella gabbia che ti serra ti sembra insormontabile. Quando riesci a venirne fuori ti sembra di poter riuscire anche in molte altre cose. La depressione è un momento orribile, ma ha anche in serbo grossi insegnamenti riguardo alla vita. Io lo posso affermare: dalla mia depressione ho imparato molto. Si tratta di una malattia, di una maledizione, ma dentro quella maledizione ci possono essere tanti doni.

Oggi si tende a dare la colpa di molti disagi agli strumenti digitali: smartphone e tablet sono visti come unici responsabili della solitudine e del fallimento delle relazioni personali. Nel libro scrive: “Nessuno sceglie di vivere per il suo smartphone. L’unica cosa che conta sono le persone con le quali lo smartphone ci permette di stare in contatto”. Mi sembra quindi che lei consideri i gadget tecnologici come neutrali e non addossi loro troppe responsabilità. 
Non sono né ottimista né pessimista riguardo alle tecnologie. Come in tutte le cose umane c’è del buono e c’è del cattivo. Ci sono dei problemi insiti nelle tecnologie che sono ovvi: l’adolescente vittima di bullismo, ad esempio, prima poteva esserlo solo a scuola o al campetto sportivo, ora c’è il bullismo online, che ha moltiplicato il problema. Nascono dalle tecnologie un sacco di problemi della vita odierna che ancora non sappiamo come affrontare e risolvere. Dico una cosa per tutte: sembra che da quando esistono i social media tutti dormiamo un po’ peggio e un po’ meno. D’altra parte queste tecnologie sono di enorme utilità. Quando mi sono ammalato (nel 1999) sarebbe stato molto utile che fossero esistiti i social media, dato che io mi sentivo tremendamente solo, isolato. Con posta elettronica e social media sarebbe stato più facile trovare contatti e condivisioni con altre persone.

Lei parla anche dell’ansia come della “compagna della depressione”. Aggiunge che è più semplice da curare della depressione e che uno dei rimedi è l’amore. Ma una persona ansiosa può sopportare l’ansia addizionale causata dall’amore? 
L’osservazione è molto calzante. Sono convinto che in generale l’amore sia una forza molto potente della vita umana. Per me ha funzionato perché è stata non solo una forza interiore ma anche esteriore. Ho capito quanto è stato importante per me avere relazioni affettive intense e l’amore della famiglia. L’amore funziona però anche come forza esteriore, nel senso e nella misura in cui abbiamo a cuore gli altri, la società. L’amore verso gli altri ha una forza terapeutica in sé. Io ho avuto la fortuna di avere vicino a me quando mi sono ammalato delle persone che mi amavano, e di avere una relazione amorosa che mi ha tenuto in vita in tanti modi diversi. Quindi: tutte le situazioni stressanti della vita potenzialmente contengono in sé conseguenze dannose, quindi avere degli affetti profondi talvolta può essere fonte di stress, ma si figura un mondo senza amore? Sarebbe ancora più stressante.

Tra i rimedi, nota che uno dei più efficaci è stato correre. Non mi sorprende, anche perché negli ultimi anni si è sviluppata una vera e propria ossessione per il running. Come mai nel suo caso è stata così efficace?
Correre ha aiutato particolarmente rispetto alle crisi di ansia. Il motivo è molto semplice: dopo un po’ che corri hai tutti i sintomi tipici di un attacco di panico: battito cardiaco accelerato, fiato corto… Dunque è impossibile avere un attacco di panico mentre stai correndo. Correre è stato il modo di salvare la mia mente. E lo è stato allora, ma è importante tuttora. Specialmente per me, che quando sto male non prendo farmaci perché non mi fanno bene, è importante sapere che c’è qualcosa su cui posso fare affidamento. Quel qualcosa per me è correre. Se possibile tre volte a settimana. Non sono un maratoneta, ma correre mi aiuta molto. Sarà anche negativo per le articolazioni, ma per la mente è molto molto positivo.