Ci eravamo appena accomiatati dalla serie Tidying up with Marie Kondo, in cui la pragmatica giapponese, tra mille inchini, qualche umile scatola sottobraccio e un mix di filosofia orientale del decluttering accompagnata da un sapiente downsizing occidentale, ci mostrava come evitare di diventare un accumulatore seriale, ed ecco che arriva (sempre su Netflix) una docu-serie che ci chiede di fare esattamente il contrario. Bandite quindi le massime nipponiche, la meditazione delle pulizie e i baci e gli abbracci ai maglioni bucati a cui dire addio. Basta sentirsi in colpa per la mole di vestiti e accessori raccolti pazientemente nel nostro armadio. Stop alla saggezza etica prima di decidere se consacrare un capo o meno.
La serie Worn Stories, già definita l’anti Marie Kondo, in pratica insegna l’importanza di tenere e celebrare tutti i vestiti che abbiamo nel nostro guardaroba. Al contrario di ciò che ci hanno proposto finora e in risposta al “lasciare andare il vecchio per fare spazio al nuovo“, qui si incoraggia a rivalutare e, soprattutto, a voler bene a tutti i nostri cari pezzi del passato. Il motto di Marie “sprigiona gioia” (in inglese “sparks joy”), quei saluti rispettosi, o quei modi meticolosi di piegare gli abiti per conservarli al meglio, devono quindi valere per tutti i capi che ci accompagnano stagione dopo stagione. Vintage, âgées, usati: potete utilizzare il termine che preferite.
L’importante è non buttare via nulla perché tutto torna. O almeno, potrebbe tornare in auge. Non è forse vero che la maggior parte dei brand tanto in voga nei decenni precedenti hanno riproposto collezioni e pezzi storici ripescati dagli archivi aziendali? Pensate poter sfoggiare fieramente una Superga originale (anche se ingiallita), oppure un Moncler a salsicciotti sgargiante risalente ai tempi dei Paninari (vissuti), o ancora una tuta Fila blu e rossa con cui hai sudato al liceo.
Secondo Worn Stories la soddisfazione di poter “rispolverare” (in tutti i sensi) e indossare un capo che ci appartiene e che abbiamo amato molto in passato, è certamente maggiore rispetto all’ordine e allo spazio ottenuto nel guardaroba con una soluzione di spaceclearing.
Gli otto episodi di 30 minuti vogliono veicolare proprio questo messaggio. E ognuno racchiude storie di scoperta, smarrimento e autorealizzazione legate a specifici capi di abbigliamento, magari dimenticati per un po’, ma poi ritrovati: da un capospalla in pelle proveniente da un mercatino di Berlino ai primi abiti di un guardaroba post-prigione fino alle scarpe del matrimonio della bisnonna. Insomma tante emozioni tutte concentrate in un cassetto o su uno scaffale.
Tra il metodo Konmari e quello anti-Marie-Kondo è difficile però capire se siamo pronti a separarci da nostri “vecchi” vestiti per rimetterli in circolo e liberare lo spazio (non solo fisico ma mentale), oppure se il legame che ci unisce ai preziosi capi è duraturo e indissolubile. Tu sei una persona da “Cancello il mio passato per diventare migliore” o da “Sono quello che sono e queste sono le cose che mi hanno fatto crescere”?
Intanto guardare entrambe le serie ci aiuta a capirne di più!