Fedeli a loro stessi, generatori di dubbi più che di risposte, i pisani Zen Circus arrivano per la prima volta a Sanremo 2019 con “L’amore è una dittatura”, brano che non deluderà chi si è stupito di sentirli tra i nomi dei Big. Band composta da Andrea Appino, Francesco Pellegrini, Massimilano “Ufo” Schiavelli e Karirm Qquru, festeggia quest’anno i 20 anni di carriera, che celebreranno il 12 aprile al Paladozza di Bologna.

Sul palco dell’Ariston ritrovano anche Motta, di cui sono stati i primi produttori. L’8 febbraio esce “Vivi si muore 1999-2019”, album che contiene tutti i brani più importanti della loro carriera. Per la serata dei duetti hanno scelto Brunori Sas. Alle nostre domande risponde Ufo.

Per Baglioni il tema di questo festival è l’armonia. Cos’è per voi l’armonia?

Ha colto nel segno. È un Festival come non si è mai visto, con un cast ad ampio spettro. Mi piace molto come impostazione. Per gli Zen è strano e bizzarro, perché abbiamo sempre avuto il ruolo di guastafeste dell’armonia. La nostra inclusione però ha senso anche per questo. Amiamo poco la simmetria, ma siamo quella cosa disarmonica che crea armonia.

Il vostro brano si chiama L’amore è una dittatura. Ce lo racconti?

È nato indipendentemente da Sanremo. La fortuna ha voluto che fosse già inclusivo di arrangiamento per l’orchestra. Ha un titolo volutamente ambiguo perché è una questione di un amore più su una scala sociale che di coppia. È anche un grido di aiuto. È molto stratificato e ognuno lo interpreterà come vuole. È già successo con tanti nostri brani, non c’è mai una chiave di lettura unica. Si parla dell’essere parte di qualcosa o di non esserlo.

Zen Circus a Sanremo. C’è chi ha detto Zen chi? Ti va di raccontare in breve chi siete a chi non vi conosce?

È normale che una fetta di pubblico generalista non ci conosca. Gli Zen Circus nascono come musicisti di strada e dalla strada salgono sul palchetto. E dalle piazze arrivano dove arrivano. Quasi musicisti da porta a porta, siamo i rappresentanti della Folletto della musica italiana. Dal 2009 facciamo album tutti in italiano. Per conoscerci direi di ascoltare Fuoco in una stanza o L’anima non conta del nostro ultimo lavoro. Per poi andare a ritroso e scoprirci.

Come mai avete deciso di partecipare?

È un regalo che ci facciamo. Sembra autoreferenziale e potrebbe anche essere spocchioso, ma in vent’anni non abbiamo mai partecipato a un concorso musicale. Ci piace l’idea di tornare ad avere un po’ di strizza e paranoia. Per ringiovanirci e rimettere in gioco tutto.

Oggi sono tutti indie, ma i primi siete voi. Come si vive il successo del proprio genere, quando arriva dopo?

È una grande soddisfazione. È vent’anni che sento dire che questo è l’anno dell’indie italiano. Ci sono tanti artisti che sono partiti da progetti in una cameretta e siamo arrivati a quello che è lo standard europeo. In Inghilterra i ragazzi di vent’anni fanno i palazzetti. Ecco, adesso finalmente anche noi. Abbiamo conosciuto Ultimo, potrebbe essere figlio mio… e tac fa l’Olimpico. La cosiddetta gavetta, quella che abbiamo fatto noi, io non la auguro a nessuno. Non si nasce musicisti per diventare famosi ma per lavorare. E se uno è messo in condizione di lavorare bene è tanto meglio. Se indie è un brand allora no, non funziona. Però siamo sicuramente contenti di quello che sta succedendo, e di poter essere ancora inclusi anche noi.

Mi descrivi come siete, all’interno della band?

Appino è stacanovista. Un workaholic. Non riesce a ripostare. Qquro è un ombroso, dolce e generoso. Pellegrini è convinto che ci siano ancora i lumi a gas. Io? Rappacifico. Come sempre fanno i bassisti.    

Cosa vi dite o fate prima di salire sul palco?

Odiamo qualsiasi tipo di rituale. Però c’è un tormentone. C’è sempre qualcuno che ci viene a dire “carichi?” e noi rispondiamo no. Mai stati carichi.

Avete già rivisto Motta?

Bellissimo essere qui insieme. Francesco ha una personalità eccezionale, lo stimiamo moltissimo. Unico artista con la A maiuscola.

Per il duetto avete scelto Brunori.

C’è amicizia fin dal suo esordio. C’è sintonia. È il nostro presidente del consiglio.

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