Se in questi giorni accendete Netflix, vedrete un personaggio con le sopracciglia folte, una T-shirt nera col teschio, lo sguardo tra lo smarrito e lo spaventato, tra il depresso e l’incazzato. È Zero, protagonista di Strappare lungo i bordi, la serie animata di Zerocalcare di cui stanno parlando tutti. Non solo perché usa un linguaggio colloquiale e generazionale in dialetto romanesco – «una polemica assurda perché si capisce benissimo che è stata sollevata da una persona in cerca di clic» ribatte l’autore – ma anche perché per molti è una scoperta. Bella, senza dubbio. Un modo di raccontare e una visione del mondo originali, capaci di divertire e nel contempo di spiazzare. Di far nascere una risata e subito dopo una riflessione profonda.


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– Scene tratte da Strappare lungo i bordi, la serie animata di Zerocalcare.

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«Se il parlato fosse lento, sai che noia»

lnfluencer, intellettuale, filosofo, furbo, egocentrico: su Zerocalcare in questi giorni si è detto di tutto, nel tentativo di incasellarlo. Perché è difficile inquadrare i suoi fumetti se non ti lasci trasportare dalla sua narrazione un po’ anarchica fatta di continui rovesciamenti, dalla velocità del parlato («se fosse lenta sai che noia») e dallo scatto di pensiero, dalle battute fulminanti che racchiudono tutta una storia e un modo di ragionare.

«L’Armadillo è l’animale che si chiude in se stesso»

«È un 37enne romano, che fa fumetti e inaspettatamente è uscito con una serie su Netflix. E che però rimane uno che fa fumetti autobiografici, di base» risponde lui, all’anagrafe Michele Rech, nato ad Arezzo il 12 dicembre 1983 e oggi residente nel quartiere di Rebibbia, a Nord-Est di Roma. Quando lo senti parlare, è difficilissimo separarlo dal suo personaggio, la voce e le espressioni sono le stesse. Forse un po’ più lente che in tv. «Vabbè, Zero è il tuo alter ego» gli dico. «Ma se dovessi raccontarlo a qualcun altro?». «Che ne so, io in questo momento fatico a trovare una dimensione de’ me fuori da quella lavorativa». Michele/Zerocalcare cresce nel mondo dei centri sociali e nel 2011 realizza il suo primo libro a fumetti, La profezia dell’Armadillo, che nel 2012 viene ristampato a colori dalla Bao Publishing, la casa editrice che pubblica tutti i suoi libri (oltre 1 milione di copie vendute finora). L’Armadillo, la sua coscienza, è quello che l’accompagna ancora oggi: «Cercavo un animale per fare dei botta e risposta, se no parlavo da solo e sarebbe stato noiosissimo. Ho scelto l’Armadillo perché è un animale che si chiude su se stesso. È quello sociopatico per eccellenza, totalmente introverso». Come lui, aggiunge, «cintura nera nello schivare la vita».

«Le cose che mi muovono sono i lutti o i grandi dolori»

«La prima volta che ho messo me stesso dentro a un fumetto è stato quando è morta una mia amica» continua. Ho deciso di provare a raccontare il modo in cui ci eravamo conosciuti e quello che ci aveva legati. Era solo per i miei amici e per quelli che l’avevano conosciuta. Però poi uno l’ha mandato a una rivista che me ne ha chiesti altri». Così Zerocalcare inizia una carriera fatta di storie, una dopo l’altra: Un polpo alla gola, Macerie prime, Ogni maledetto lunedì… Racconta le sue esperienze a Roma e al G8 di Genova, scrive reportage a fumetti (Kobane Calling, in cui racconta il proprio viaggio sul confine turco-siriano) e crea video-diari sulla quarantena da Rebibbia. Nel 2015 ottiene anche una candidatura al Premio Strega con Dimentica il mio nome. «Le cose che mi muovono sono i lutti o i grandi dolori, quelli che mi fanno venir voglia di scriverci un libro sopra».

«Io in realtà sto angosciatissimo»

Anche Strappare lungo i bordi riunisce vari momenti della sua vita. Come l’ultimo libro appena uscito: Niente di nuovo sul fronte di Rebibbia. Una serie di racconti su temi importanti, che strappano a volte una risata anche se c’è sempre quel sottile senso di disagio, l’ansia e la paura. «Uso l’ironia per mettere le mani avanti, perché credo sia meglio ridere di se stessi che farsi prendere in giro dagli altri, ma io in realtà sto angosciatissimo».
La frase che dà il titolo alla serie, strappare lungo i bordi, è uno stato d’animo: «Pensavamo che la vita funzionasse così. Che bastava strappare lungo i bordi piano piano, seguire la linea di ciò a cui eravamo destinati. E tutto avrebbe preso la forma che doveva avere».


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– L’ultimo libro appena uscito di Zerocalcare: Niente di nuovo sul fronte di Rebibbia.

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– Una tavola tratta da Niente di nuovo sul fronte di Rebibbia.

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– Una tavola tratta da Niente di nuovo sul fronte di Rebibbia.

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– Una tavola tratta da Niente di nuovo sul fronte di Rebibbia.

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La profezia dell’armadillo

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Kobane Calling

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– Zerocalcare

«Il divano esiste davvero. Ci mangio, ci dormo, ci lavoro»

Al primo sguardo è la considerazione di una generazione disillusa, ma non è questo il punto: non è importante se ti identifichi o meno. Se sei un millenial, un boomer o un ragazzo della Gen Z. Se vieni dalle borgate romane o dalla periferia milanese. Conoscendo Zerocalcare e il suo modo defilato di affrontare le cose, è un «accollo» troppo grande. Perché in fondo a lui interessa solo raccontare la sua storia, di un ragazzo che dal suo divano – «che esiste davvero: ci mangio, ci dormo, ci lavoro» – vede passare tutto. E quelle espressioni che ad alcuni sembrano incomprensibili, mentre in realtà sono intraducibili, «sono il mio modo di spiegare cosa sento e come vivo al resto del mondo». Chi ci si ritrova va in visibilio e lo dimostrano le code sterminate (a Milano ieri già dall’alba) per un suo autografo. Chi non capisce giudica.