Pietro Castellitto: attore e autore

«Giorni fa ho sentito passare qualcuno con lo stesso profumo di mio padre, quello che usa da sempre. E mi è venuta un’enorme energia, una voglia di fare. Penso che il mio desiderio di avventura lo assocerò sempre a lui». Del resto, è la sua forza e lo ha già spinto molto lontano. Pietro Castellitto non solo ha seguito le orme dei suoi genitori senza farsi intimidire dal confronto, ma ha un talento e un’originalità destinati a bissarne il successo. A 32 anni è attore e autore: interprete e regista come il padre Sergio, scrittore e sceneggiatore come la madre Margaret Mazzantini. Volto di film (Freaks Out di Gabriele Mainetti) e fiction tv (Speravo de morì prima su Sky), nel 2020 ha debuttato alla regia con I predatori vincendo il premio Orizzonti per la miglior sceneggiatura alla Mostra del Cinema di Venezia. L’anno dopo ha pubblicato il romanzo Gli iperborei (Bompiani, premio Viareggio Opera prima).

Il nuovo film Enea

E adesso è al cinema il suo nuovo film da attore, sceneggiatore e regista: Enea è la storia di un ragazzo, figlio della Roma bene, che «rincorre il mito che porta nel nome, per sentirsi vivo in un’epoca decadente». Così abbraccia una vita spericolata che sconfina nella criminalità, sul filo della risata e della follia, con Sergio e Cesare Castellitto a interpretare padre e fratello del protagonista. «Volevo che fosse bello, attraente, libero, puro. E che avesse un fascino nella naturalezza, inconsapevole delle sue qualità» dice Pietro parlando del personaggio. Un alter ego, brillante nelle parole proprio come lui.

Una scena di Enea, il secondo film di Pietro Castellitto, che in questa pellicola è attore, regista e sceneggiatore.

L’intervista

A parte il lato surreale e ironico della vicenda, quella di Enea è una ribellione alla vita borghese? «Più che altro combatte la paralisi del nostro tempo. Certi valori prestabiliti, nei quali cresciamo, creano anche degli orizzonti limitati. E quando capisci che non ti rendono felice, sei disposto a tutto per sentirti vivo. Mi piaceva però collocarlo in una famiglia perbene, che affonda le radici nell’Italia migliore, popolare, piena di aneddoti e di bellezza. Non è la storia del classico rampollo che vive in un castello con la servitù ed esce di notte ad ammazzare i senzatetto».

Ci sono scene sorprendenti, che provocano un riso amaro. Una – che non riveleremo – è legata al padre di Enea, psicologo. Ha voluto mettere un po’ di follia in ogni personaggio? «I gesti estremi devono avere una loro coerenza, essere credibili per il carattere di chi li fa e simbolici nella storia. Lo psicologo incamera il disagio altrui e finisce per sfogarlo a modo suo».

Per interpretarlo ha voluto Sergio Castellitto. Com’è stato essere il regista di suo padre? «Più facile di quanto immaginassi e, alla fine, è stato un modo per comprenderci meglio. Ho capito che conosci veramente una persona solo se la vedi muoversi in contesti più formali dell’ambito familiare: sei convinto di sapere quasi tutto e invece scopri un lato che esprime solo nel lavoro o con gente nuova. Ora ho la sensazione di vederlo in modo più lucido».

Pensa che lui si comporti diversamente con altri registi? «Penso di avere un vantaggio rispetto agli altri: so come prenderlo».

E poi c’è suo fratello Cesare, 17 anni. Vuole fare cinema anche lui? «Non lo so. È una persona poetica e le dinamiche che si creano tra fratelli non sarei riuscito a riprodurle con altri attori. Poi un giorno gli ho chiesto di improvvisare una scena a tavola e lui mi ha detto di no, ma ero un no più morbido dei precedenti e ho capito di avere margine per convincerlo».

Cosa ricorda, invece, di quando lei è stato sul set da bambino? «Passai l’estate più bella della mia vita quando papà girò Libero burro sull’isola di Salina (debutto alla regia di Sergio Castellitto nel 1999, ndr). Avevo 6 anni e per un bambino il set è sempre una situazione magica. Grazie al cinema ho scoperto l’alba. Fino ad allora pensavo che il giorno si vedesse solo dopo aver dormito e, per la prima volta, vidi spuntare il sole dopo essere rimasto sveglio per girare».

È stato diretto da suo padre anche a 13 anni in Non ti muovere e a 21 in Venuto al mondo. È lì che ha iniziato a pensare al futuro? «Recitare mi veniva istintivo e un pensiero ce l’avevo fatto, anche da ragazzino. Poi mi iscrissi a Filosofia e, per una serie di delusioni, smisi di fare provini e iniziai a scrivere. Paradossalmente sono migliorato così nella recitazione, me ne sono reso conto quando ho girato La profezia dell’Armadillo di Emanuele Scaringi (nel 2018, ndr). Avevo bisogno di non fare nulla. È come nel tennis: ti alleni tanto, ma è dopo aver smesso una settimana che i colpi viaggiano. Nella pausa maturi il miglioramento».

Porterebbe anche gli altri della famiglia sul set? «Perché no? Temo che li beccherò tutti, prima o poi».

C’è un dialogo che parla di matrimoni e coppie spente. «Sembrano morti» dice la madre di Enea, giornalista televisiva. Lei è molto legato alla sua famiglia: ha il desiderio di crearne una? «È il grande dilemma. Dipende. Se ti innamori, la tua vita diventa più avventurosa e misteriosa accanto alla persona che ami. Altrimenti meglio viaggiare da soli. In questo momento non credo che un’altra persona accetterebbe la mia libertà, la mia solitudine».

Enea parla di percorso “clanico”. «Il clan può essere la famiglia o il gruppo di amici. Enea cerca una vita fatta di valori vitali e profondi. Nel suo mondo devi essere camaleontico, saper parlare in italiano e in romano. Essere post-ideologico, libero nei rapporti, spregiudicato ma anche leale».

Si sente così anche lei, libero? «La penso come il campione di tennis Roger Federer, che ha detto: “Liberate la mente, liberate i colpi, il coraggio prima o poi verrà ricompensato”. Non so se il mio è coraggio, di sicuro quando scrivo non lo faccio per accontentare qualcuno».

Mai avuto timidezze? «Nella scrittura no. Nella vita sì. Spesso e malvolentieri. L’esistenza è satura di consuetudini retoriche e sentimentali davanti alle quali provo disagio e timidezza».