I 60 anni, per la precisione 66, donano a Sharon Stone. Radiosa. Disinvolta. Regale nell’abito argentato con strascico rosso fuoco alla serata inaugurale dell’ultimo Torino Film Festival, dove l’abbiamo incontrata, è la più glam e graffiante delle 12 star premiate con la Stella della Mole. È rimasta una diva pur essendosi defilata da Hollywood, perché crede in se stessa a prescindere. «Mi sto godendo pienamente questo tempo della vita» dice. Ha ripreso a dipingere, sua passione giovanile, al punto che porterà i suoi quadri in mostra all’Ara Pacis di Roma in primavera e in autunno alla Art Week di Torino. Si dedica a varie campagne umanitarie e, per questo, l’anno scorso ha ricevuto il Global Citizen Award dell’Associazione dei corrispondenti presso le Nazioni Unite.

Le confessioni di Sharon Stone

Allo schermo si concede meno. Dopo un episodio di The New Pope di Paolo Sorrentino, nel 2020 ha girato la serie thriller Ratched, ora su Netflix, e il film d’azione Nobody 2, che uscirà nel 2025. È una che non le manda a dire. Critica con parole affilate i produttori cinematografici: «Il problema è sempre la vagina: se avessi avuto un pene, la mia carriera sarebbe stata diversa. Basti pensare che per Basic Instinct ho guadagnato 500.000 dollari contro i 14 milioni di Michael Douglas. Mi veniva chiesto di essere bellissima, mentre l’intelligenza è stata perfino un ostacolo, cosa impensabile per un uomo. Dopo i 40 anni, all’epoca, le attrici non lavoravano più».

Se uscivo con uno più giovane venivo etichettata come una “cougar”, ma sullo schermo ero troppo vecchia perfino per stare accanto a 50, 60 o 70enni.

Il suo primo film da produttrice

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Sharon Stone ha ricevuto la Stella della Mole all’ultimo Torino Film Festival.

Al 42° Torino Film Festival ha scelto di presentare al pubblico il primo titolo di cui fu produttrice oltre che attrice: il western Pronti a morire di Sam Raimi, girato nel 1995. «Ne vado fiera perché ho voluto Leonardo DiCaprio quando non era ancora una star, lanciandone la carriera, e chiamato Russell Crowe dall’Australia. Ho scelto Dante Spinotti per la fotografia e Sam Raimi alla regia perché aveva un approccio innovativo e difatti, da che girava “B movies”, è diventato un autore». A tre anni dal successo di Basic Instinct che l’aveva trasformata in sex symbol, Sharon Stone fu anche protagonista con Robert De Niro di Casinò di Martin Scorsese ed ebbe una candidatura all’Oscar.

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Sharon Stone e la passione per l’arte

Una come lei, forte già da bambina di un quoziente intellettivo molto superiore alla media (154), si è subito sentita stretta nell’abito della “femme fatale” cucitole addosso. «Fino a 11 anni sono andata alla scuola per bambini superdotati: mi spronavano a impegnarmi perché i miei talenti dessero frutto, cosa che sento più forte in questi tempi di crisi» racconta.

Il cambiamento è possibile se esiste la libertà di esprimersi, anche attraverso l’arte, il cinema o la poesia

I suoi quadri, acrilici dalle grandi pennellate di colore che richiamano gli impressionisti e alcune correnti del ’900, si vedono sul suo profilo Instagram. «Da ragazza ho lasciato Meadville, la cittadina della Pennsylvania dove sono cresciuta, per andare a New York: per un po’ mi sono mantenuta proprio vendendo i miei dipinti. Poi ho fatto la modella, rendeva molto di più» dice Sharon Stone.

L’amore per l’Italia

È il lavoro che, a 20 anni, porta Sharon Stone in Italia facendola innamorare del nostro Paese. Sorride ricordando il suo trasferimento per un anno a Milano. «Avevo un fidanzato italiano, un’ottima scelta! Da allora sono tornata spesso, ho portato i miei bambini e gli ho fatto perfino frequentare dei corsi di cucina per fare il gelato e la pizza». L’attrice, che ha adottato tre figli (Roan, oggi 24enne, con l’ex marito Phil Bronstein, Laird e Quinn, 19 e 18 anni, da single), non ha dubbi: «Non credo sia un caso se i legami più forti che ho creato, anche nella vita professionale, siano con Martin Scorsese e Robert De Niro, dei quali sono ancora amica. Gli italiani hanno una cultura delle relazioni che non ho trovato in nessun altro posto. Un’abitudine a fare le cose insieme, in cui credo molto anche io. Si vede quando qualcuno prepara una cena, da voi, e sceglie ogni ingrediente dal negoziante di fiducia».

I pregiudizi verso le donne

È sempre combattiva, Sharon Stone. Quello che più la accende è il pregiudizio nei confronti delle donne, tanto più se belle. «Mi hanno dato il ruolo di produttrice solo perché avevo chiesto un cachet che, secondo loro, non si giustificava solo per la recitazione. Negli anni ho proposto altri progetti ma ho sempre incontrato muri, finché ho smesso di sprecare la mia intelligenza con gente che ne ha meno. Perché sono proprio i meno brillanti a ostacolare le donne, temendo di dare loro anche il minimo potere. E io devo perdere tempo? Ho di meglio da fare». Così ha preso il posto di Elizabeth Taylor nella fondazione creata dall’attrice per la lotta all’Aids. Ha appoggiato i Democratici e non esita a parlare di politica: «Anche se Trump non è il presidente che avrei voluto, rispetto il risultato delle elezioni e da patriota non girerò il mondo parlando male del mio Paese».

Sharon Stone denuncia le molestie subìte

Soprattutto, si spende contro la violenza di genere. È ora che gli uomini perbene si uniscano a noi, che inizino a isolare conoscenti e amici violenti e a tenerli lontani da mogli, figlie e sorelle. Ricordiamoci che i maschi sono tra le prime cause di morte delle donne.

Lei stessa è stata vittima di abusi in famiglia e ha avuto il coraggio di dirlo pubblicamente 3 anni fa con un libro di memorieThe beauty of living twice – raccontando come lei e sua sorella Kelly, da bambine, fossero state molestate dal nonno. «Quando ne abbiamo parlato con mia madre, qualche anno fa, è rimasta profondamente scossa, ha avuto una sorta di esaurimento. Poi siamo rimaste insieme due giorni a leggere quello che avevo scritto e finalmente si è messa a parlare, a raccontare cose che non sapevo, tanto che ho cambiato alcune parti del testo. Il libro è dedicato a lei». Se oggi Sharon Stone unisce consapevolezza e impegno civile alla capacità di godersi la vita, è anche per l’aneurisma che, nel 2001, l’ha messa in pericolo di vita e ha ribaltato le sue priorità. «Avevo l’1% di speranze di sopravvivere e, vista la fortuna che ho avuto, mi dedico a quello che è davvero importante».