Il videoclip si apre con lo skyline più bello del mondo, la New York dove tutti i sogni diventano realtà. Ma invece di portarci nel romantico Central Park o nell’iconica Quinta Strada, ci butta senza alcun avvertimento tra i quartieri residenziali. Ad attraversarli è una donna senza paura, che si fa strada per la città con sicurezza e getta tutti – letteralmente – ai suoi piedi. Non si nasconde, non cammina piano, non si perde tra la folla: i suoi capelli sembrano fuori controllo, il rossetto rosso e l’ombretto le colorano il viso, non è nemmeno giovane. È Tina Turner, ed è qui per restare.

Il debutto a trent’anni dall’esordio: la seconda chance di Tina Turner

«La sua è stata una vera favola moderna: era una donna senza più nulla, aveva perso tutto. Aveva solo un’opportunità, e ce l’ha fatta». A raccontarlo è Steve Blame, giornalista e storico presentatore di MTV, che apre il documentario Tina Turner. My songs, my life (disponibile su arte.tv). Qui, insieme a colleghi, amici dell’artista e diversi altri creativi, ripercorre le fasi della vita e della carriera di Tina per offrire al pubblico un ritratto variegato e senza sconti.

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Una scena del musical “Tina”, Foto di Getty

Nel 1984, quando per la prima volta il brano What’s love got to do with it si impone tra le classifiche in radio e il suo video viene trasmesso in televisione, Tina è tutt’altro che un’esordiente. La sua carriera infatti era iniziata quasi 30 anni prima, quando ancora era conosciuta come Anna Mae Bullock.

Quando Anne Mae incontrò Ike

Classe 1939, la giovane Anna Mae trascorre i suoi primi anni nel Tennessee dove comincia presto a lavorare – nel pieno della segregazione razziale – come raccoglitrice di cotone. I suoi genitori si separano quando è ancora piccola e la mamma scompare abbandonando lei e la sorella senza alcun avviso. È così che per Anne finisce l’età dell’innocenza: con la consapevolezza di non avere (e di non meritare) amore né un posto dove sentirsi a casa.

A cambiare tutto è la musica, che scopre grazie al coro gospel della chiesa evangelica. Qui – ragazzina – trova non solo un luogo in cui sentirsi accettata, ma anche il suo vero talento. Stare al centro dell’attenzione e cantare è ciò che ama fare e non si ferma davanti a nulla, vuole che tutto il mondo la prenda sul serio.

L’occasione perfetta si presenta a Saint Louis, dove si trasferisce con la sorella. Qui la nightlife è nel pieno degli anni d’oro e le band di artisti rock n’roll si esibiscono ogni sera nei club. Ce n’è una – i Kings of Rhythm, gruppo guidato da Ike Turner – che è solita condividere il microfono con ragazze del pubblico per scovare nuovi talenti. Diciassettenne e già senza paura, Anne Mae approfitta di una pausa per rubare il microfono a Ike e intonare la sua versione di You know I love you di B.B. King. Ike rimane senza parole, il pubblico esulta, nasce una nuova stella.

Dopo quella sera, tutti cambiarono il loro giudizio sulla piccola Anne!

Tina nella sua biografia “My love story”.

Diventare Tina Turner

Dopo quella sera Ike la ingaggia come corista e nel corso di tre anni le insegna come dominare il palco, le dà consigli su come usare la voce al meglio e come porsi con il pubblico. La nomina cantante ufficiale della band nel 1959 e la convince ad abbandonare la sua identità, Anna Mae Bullock. Le sceglie un nuovo nome, Tina Turner, per far sì che la sua grinta la preceda prima ancora di mettere piede sul palco.

«Ike l’ha chiamata Tina Turner», racconta nel documentario Lisa Fischer (la storica corista di Tina), «ma è stata lei a diventarlo davvero». Ed è proprio così: piano piano Tina Tuner diventa la vera ragione per cui il pubblico compra i biglietti e Ike capisce che l’unico modo che ha per rimanere rilevante è non separarsi mai da questa donna straordinaria.

Il matrimonio con Ike e gli anni della violenza

I due cominciano ad avere una relazione nel 1960 (quando esce il loro primo singolo e si lanciano sul mercato come Ike & Tina Turner), si sposano nel 1962 e rimangono uniti nella vita e nella musica per quasi 20 anni. Ma in quell’unione l’amore c’entrava poco. Tina sapeva già che l’amore era ben altro (come canterà anni dopo), eppure allora le sembrava giusto sottostare agli ordini di chi le prometteva la vita da star, l’uomo che l’aveva portata via dai luoghi e dai traumi della sua infanzia.

Tutta la libertà che mostrava sul palco, la forza della sua voce e la sua spensieratezza le erano negate tra le pareti di casa. All’apparenza era una star – River deep, mountain high diventa una hit appena dopo l’uscita, nel 1972 vincono il primo Grammy, i produttori più importanti del mondo vogliono lavorare con loro (in particolare con lei). Ma fuori dal palco è una vittima: Ike è sempre più arrabbiato, la tratta «come una prigioniera di cui lui è il carceriere» e la violenza è ormai una cosa di tutti i giorni. Finché, nel 1976, Tina dice stop. Se ne va, lasciando il marito solo in hotel, con i figli, 36 centesimi in tasca e nient’altro. Solo la rabbia, la disperazione e la voglia di ricominciare.

Tina Turner: il nuovo inizio

Dal divorzio, ottenuto nel 1978, non ottenne molto altro. La custodia dei due figli avuti da Ike (e altri due che lui ha avuto da altre donne). Ma soprattutto il suo nome, che le era stato dato ma che si era ormai meritata. È a partire dall’idea – ciò che Tina Turner rappresenta – che distrugge tutta la sua vita di prima per creare quella nuova, quella vera.

Per oltre sei anni cerca di sfruttare ogni occasione per fare musica: canta in club mezzi vuoti, partecipa a feste di poco conto, lascia che il suo nome venga lanciato di qua e di là come quello di una star ormai caduta in disgrazia. Nel frattempo, costruisce qualcosa di molto più importante della reputazione: una rete di affetti, che le vogliono bene davvero e vogliono aiutarla senza avere nulla in cambio. L’amore senza condizioni che non aveva mai pensato di meritare.

La volta rock di Tina Turner

È a partire dall’amore dei colleghi e degli amici che le si stringono intorno che Tina trova la forza per tornare sul mercato facendo quello che veramente vuole: diventare una cantante rock. «In America se sei nera puoi fare solo R&B e se inizi con un genere poi non sarai mai niente di diverso», ha raccontato Tina, «per questo non mi dispiaceva andarmene».

Tina Turner e David Bowie
Tina Turner e David Bowie, Foto di IPA

Se ne va in Gran Bretagna, capitale delle rivoluzioni musicali in ogni decennio, e – con l’aiuto del nuovo manager (e amico) Roger Davis – comincia a lavorare con i produttori migliori. Insieme, preparano il suo secondo debutto: Private dancer, che uscirà nel 1984. È sempre qui che fa amicizia con David Bowie, che ovunque vada la fa raggiungere da orde di critici, produttori e manager ad ogni show, presentandola come la sua cantante preferita.

Tina Turner e Mick Jagger
Tina e Mick Jagger, foto di Ron Galella/Ron Galella Collection via Getty Images

Tra Londra e gli studios, Tina rinasce e trova la forza di tornare a New York, vestita, truccata e profumata, per segnarla e conquistarla.

“What’s love got to do with it”: Tina is back

Davanti alla cinepresa, fa quello che ha sempre fatto: si finge invincibile, inneggia a forza e libertà come se non conoscesse la loro assenza.

“What’s love but a second-hand emotion?”, chiede: L’amore non è altro che un’emozione di serie B, che me ne faccio? “What’s love got to do, got to do with it? Who needs a heart when a heart can be broken?”. Cosa me ne faccio dell’amore? Di un cuore debole, che se comincia a battere più forte poi rischia di rompersi…

Allora ci sembrava tutto: una donna di quasi 40 anni che non aveva paura di niente, che rinasceva dopo aver affrontato di tutto e ritrovava il successo come per magia. Ci sembrava che la lezione più importante di What’s love got to do with it fosse proprio imparare a diventare invincibili, senza paure.

40 anni dopo: l’amore conta, eccome

Tina Turner Live In Rotterdam
Tina in concerto a Rotterdam, Foto di Rob Verhorst/Redferns/Getty Images

E sbagliavamo. A Tina ci vorranno altri anni prima di usare quella grinta per raccontare anche il dolore e la fragilità, senza temere di perdere tutto di nuovo. Allora ci regalerà inni all’amore – proprio quello che fingeva di disprezzare – come The Best e Only Love.

Non lo ammetterà mai, ma c’è una ragione se di tutto il suo repertorio c’è solo un brano che non toglierà mai dalla scaletta: Proud Mary. È in questo brano registrato ai tempi di Ike che si trova la sua verità, il suo lascito anche oggi che non è più con noi.

La ruota gira, ognuno di noi si fa gli affari suoi, Proud Mary continua a bruciare: il mondo va avanti, che tu soffra oppure no, e devi andare avanti.

Continuare a bruciare come Proud Mary non significa non avere paura, ma vivere a contatto con i nostri limiti continuamente. Paura di non farcela, paura di non poter ricominciare, paura di non riuscire a lasciare indietro il passato. Eppure farlo lo stesso. Allora non lo sapevamo, lo sappiamo adesso: 40 anni dopo, riguardiamo quel suo ritorno sulle scene con occhi diversi. Non ci vediamo un idolo invincibile, ma una donna come noi. A cui è servita una vita per capire la forza dell’amore e venire a raccontarcelo. Grazie Tina.