Lorenzo Gasparrini è filosofo, si occupa di questioni di genere e conduce workshop e laboratori in aziende e scuole. È autore di molti saggi. L’ultimo si intitola Perché il femminismo serve anche agli uomini (Eris, 2020).
Un filosofo femminista
Sono un filosofo femminista. Lo sono diventato quando mi sono accorto che i femminismi venivano non solo contrastati su un piano teorico, ma considerati cose delle quali, in quanto maschio e studioso, non dovevo occuparmi perché non mi riguardavano. «Sono problemi delle donne» mi dicevano all’università mentre preparavo la tesi di laurea e ne discutevo con i professori. E invece mi è bastato leggerli, quei testi, per capire che mi riguardavano, che pur se non parlano direttamente a noi uomini, di questo sguardo anche noi abbiamo profondamente bisogno.
Noi uomini siamo condizionati da valori che non ci siamo scelti
È da lì che è cominciato il mio cammino. Ho iniziato ad accorgermi di quanto sono condizionato nelle mie scelte, nel mio linguaggio, nella mia identità di uomo da valori maschilisti che non avevo neanche capito fossero tali. Ho scoperto che tante mie difficoltà e tanti miei disagi dipendevano proprio da quello, dal credere che si trattasse di valori “naturali” per un uomo. No, non lo sono affatto, e questo raccontano tanti femminismi: la parità alleggerisce anche le mie spalle maschili da pesi e oneri che non ho scelto, a volte neanche riconosciuto. I nostri condizionamenti culturali sono ovunque: nella letteratura, nel cinema, nello spettacolo, nel linguaggio, nei media, nelle chiacchiere di tutti i giorni. Noi uomini siamo immersi in valori che non abbiamo deciso e che ci condizionano ancora prima della nostra nascita. Ma visto che stiamo parlando di cultura, i femminismi ci raccontano anche che possiamo fare qualcosa, possiamo diventare più sensibili, cambiare le nostre abitudini, i nostri gesti. E migliorare la nostra vita.
La disparità fa male anche agli uomini
Non si tratta di sostituire gli uomini, nelle loro posizioni sociali, con le donne. Si tratta di cambiare un sistema che non sta funzionando, perché guidato da una sola visione delle cose, e di integrare una diversità che renda quel sistema non più efficiente per le donne ma più soddisfacente per tutti e tutte. Noi uomini siamo stati da sempre ai vertici di ogni potere: quasi tutti i decisori politici, i re, i comandanti e, naturalmente, gli dei, ma anche i geni, gli inventori, gli artisti… La stragrande maggioranza sono maschi. Le lotte femministe però hanno raccontato da secoli anche l’insoddisfazione e la frustrazione maschile per un mondo che vede gli uomini destinati ai lavori più pesanti, alla guerra, alle responsabilità schiaccianti, al continuo agonismo. Un mondo che ha trascurato il valore della salute: gli uomini muoiono prima, si ammalano di più e più gravemente, si curano di meno, soffrono di depressione anche se non lo raccontano e si suicidano di più. I numeri raccontano questa atroce disparità: gli uomini hanno creato un mondo competitivo dove la maggior parte di loro ha la peggio e hanno prodotto una narrazione che ha fatto di quel mondo ingiusto il loro destino.
Le responsabilità domestiche non ci rendono meno uomini
Non sono diventato meno uomo per aver assunto alcune responsabilità domestiche, alleggerendo la mia compagna di vita. Non sono diventato meno uomo perché mi sono accorto di non essere capace di quei gesti di affetto e di cura necessari ai miei amici, ai miei colleghi. Imparare queste cose e accorgermi finalmente che una educazione al maschile me le aveva negate non ha cambiato la mia identità, ma ha sicuramente migliorato la mia vita e quella delle persone che mi sono vicine. Da padre di due figli maschi ho imparato quanto è importante parlare di sentimenti, di quello che provo, dei problemi che vivo in quanto uomo e che non è facile esprimere, una difficoltà che loro, in quanto maschi, devono imparare ad affrontare prima possibile. In questo modo capisco anche io come rapportarmi con chi è più giovane di me, persone che parlano altri linguaggi e vivono altri sentimenti. Sono una ricchezza che, eventualmente, essere femminista di certo non impoverisce.
La parità conviene alle aziende
La struttura familiare del “breadwinner”, l’uomo che porta i soldi in casa e la donna che li amministra pensando esclusivamente all’ambiente domestico e alle relazioni sociali familiari, ormai è non solo del tutto irreale, ma umanamente povera. Ed economicamente disastrosa. Nei corsi di formazione in azienda incontro ancora oggi persone convinte che la presenza femminile non sia un reale beneficio sul luogo di lavoro. Eppure non si contano più gli studi che dimostrano il contrario: lavorare per la parità di genere porta benefici a tutti e tutte. Ogni volta che aumenta la leadership femminile e ci si impegna a eliminare le discriminazioni succede qualcosa di importante: come una calamita virtuosa delle relazioni, la parità si trasforma in uno strumento per acquisire talenti, legarli all’ambiente aziendale e aumentare la produttività di chi viene coinvolto. Elimini le molestie, verbali e fisiche, e l’assenteismo si riduce. Le “malattie strategiche”, quelle per proteggersi da un ambiente tossico o pericoloso, diminuiscono.
Il modello di coppia va cambiato
Il modello di coppia tradizionale non va gettato via senza alternative, ma cambiato per farlo tornare a essere un rapporto che libera chi ne fa parte. La gerarchia aziendale e politica di tipo piramidale non va abbandonata per una sterile imprenditorialità individuale, ma trasformata in un modello che sappia esaltare le diversità di chi ne fa parte. Non sono utopie: i gruppi sociali che hanno dovuto forzare questi cambiamenti, perché costretti da discriminazioni e oppressioni sociali o dalla povertà e dalle incombenze economiche, lo hanno già fatto. Da queste esperienze gli uomini hanno molto da imparare, soprattutto che si può rimanere uomini cambiando tutte quelle abitudini e quei pensieri ancora chiamati maschili che in realtà solo nocivi.