«Ha ancora senso essere una voce fuori dal coro?». È la domanda che ha tormentato Veronica Lucchesi per qualche tempo. «Ero in uno di quei momenti difficili, di crisi profonda e dubbi, che nella vita ti buttano giù. Poi per fortuna ne sono risorta» Per la 36enne artista celebre come La Rappresentante di Lista, duo musicale creato insieme a Dario Mangiaracina, la rinascita è arrivata con un film: Gloria! di Margherita Vicario, collega cantautrice che, al debutto come regista, ha voluto Veronica in una storia di sorellanza e ribellione femminile, presentata in concorso all’ultima Berlinale e adesso al cinema, dove ci sono anche Galatea Bellugi, Carlotta Gamba, Maria Vittoria Dallasta, Sara Mafodda, oltre a Paolo Rossi ed Elio in un piccolo ruolo.
Proposta accettata con entusiasmo non solo perché arrivata quasi come una risposta a quel momento critico, ma perché Gloria! è un racconto nelle corde di Veronica e fare l’attrice è stata la sua prima vocazione fin da bambina. Qui interpreta Bettina, una delle ragazze che a fine ’700 vivono nell’Istituto Sant’Ignazio, vicino a Venezia, ricevendo un’alta formazione musicale.
Il film prende spunto dalla realtà sconosciuta degli “Ospedali”, che formavano artiste e compositrici destinate però nel migliore dei casi solo al matrimonio e mai alla musica: Vicario ha immaginato un gruppetto di loro che, di nascosto, si ritrova di notte per reinventare melodie – un pop che anticipa i tempi – sognando un’altra vita.
Intervista a Veronica Lucchesi
La Rappresentante di Lista firma anche una canzone della colonna sonora, Questo corpo, la stessa inserita da Paolo Sorrentino nella serie The New Pope.
«Margherita ha scelto le attrici che più le sembravano in sintonia con i personaggi e ha ricreato uno spirito di sorellanza anche sul set» racconta Veronica, che ora festeggia 10 anni dal primo album di La Rappresentante di Lista, (Per la) via di casa, ma da molti studia e fa teatro, ha dato vita a performance del duo (Anatomia fantastica nel 2019), ha avuto un ruolo nella seconda stagione della serie Il cacciatore su Rai 2, ha pure scritto un romanzo con Dario Mangiaracina, Maimamma, uscito per Il Saggiatore nel 2021 ad accompagnare il loro quasi omonimo quarto album My Mamma.
Anima ribelle, si è battezzata “La Rappresentante di Lista” perché lo è stata davvero nel 2011 per poter votare per i referendum a Palermo, fuori sede rispetto alla sua Viareggio. Grintosissima sul palco, dolce e sensibile di persona. Anche Bettina, il suo personaggio nel film, è una tipa tosta e sensibile. Ci si è rivista?
«È una femminista ante litteram, inizialmente scontrosa e un po’ burbera, che poi si scioglie nel rapporto con le altre ragazze, delle quali è come una sorella maggiore. Anch’io sono la più grande delle attrici e mi sono sentita rinascere in quest’esperienza che ancora oggi mi brucia dentro e nella relazione quasi magica con le colleghe. È come se tutte avessimo bisogno di raccontare questa storia potente, di amicizia e solidarietà fortissime, che sul set l’hanno fatta da padrone. Girando il film eravamo sempre insieme, mangiavamo sempre insieme, dormivamo nella stessa locanda».
La regista Margherita Vicario è anche una collega cantautrice. Che cosa vi unisce?
«Ci siamo incontrate più volte, scoprendo di avere affinità. Come cantautrici sentiamo entrambe una responsabilità, il bisogno di aderire alle parole delle nostre canzoni».
Si è definita una voce fuori dal coro, ma ha avuto successo anche al Festival di Sanremo con Amare nel 2021 e Ciao ciao nel 2022. Da dove è nata poi la sua crisi?
«Dalla fatica di emergere con un lavoro indipendente e di restare se stessi in un mondo che chiede continuamente di adeguarsi a qualcosa: ai ritmi del mercato, a un’immagine femminile, al marketing. Ragionavo su quello che significa per me la musica, sul fatto che ci metto tutte le mie energie, la mia vita. Mi chiedevo: ha valore quello che faccio per i temi che voglio trattare? E che posto hanno oggi le musiciste? Ecco perché la proposta del film mi ha toccato tanto».
Quale risposta si è data: ha senso continuare così?
«Sì che ha senso (ride, ndr). È la mia cifra. Corrisponde al mio bisogno di sentirmi libera e non allineata. Anche se forse è una grande illusione credere di poter cambiare le cose».
Lei e Dario Mangiaracina avete definito La Rappresentante di Lista “queer”. Che cosa significa?
«La possibilità di non incasellarsi in schemi di genere. Di amare, essere e rappresentare quello che ci viene dal profondo, in modo naturale, senza confini».
Quando è emersa la sua vena artistica?
«Da ragazzina disegnavo molto. Ero una specie di Mercoledì Addams e quando uscivo da scuola passavo i pomeriggi nel bar di famiglia in centro, osservando sia i miei che lavoravano dietro il bancone, un po’ rialzato tipo palcoscenico, sia i clienti più strani che vedevo come personaggi di una storia. Mi divertivo a farne delle caricature, dev’essere per questo che poi ho voluto fare teatro».
I suoi genitori l’hanno aiutata?
«Papà mi suggerì di iniziare con una scuola in zona e lì è scattato il grande amore. Poi ho fatto corsi a Palermo, dove ho conosciuto Dario e insieme abbiamo creato La Rappresentante di Lista. Sono stati anni difficili, di gavetta. Giravamo l’Italia con una vecchia auto cercando di farci ascoltare, e forse in quel periodo i miei mi hanno capita un po’ meno. Ora sono tornata a Viareggio, ma vado spesso a Palermo perché ho legami indistruttibili: gli amici storici, lo stesso Dario (a chi chiedeva se stessero insieme, loro hanno sempre risposto di aver solo avuto una storia in passato, ndr)».
Cantante, autrice, attrice. C’è, fra questi, un aspetto che prevale?
«La creatività si può declinare in molti modi: la musica porta fuori le mie emozioni, la scrittura amplia il discorso, la recitazione coinvolge anche il corpo. Stranamente ho sempre considerato il teatro come l’arte più bella e la musica come qualcosa da sciocchi».
Sanremo è un’esperienza da ripetere?
«Di tv non sapevo niente e inizialmente mi ha spaventata, ma ben venga la voglia di giocare con più strumenti. L’importante è mantenere un certo distacco per sentirsi liberi e non perdere l’anima. Quando andiamo in tour nei club mi piace calarmi in una dimensione più rischiosa rispetto a programmi dove l’apparato estetico è curato e controllato. A me piace stare dove ci si sporcano le mani».