Willem: «Abbiamo molte cose in comune. Per cominciare, veniamo entrambi dal Wisconsin». Mark: «Non abbiamo tatuaggi. Siamo un po’ vecchio stampo, io molto più di te». Willem: «E poi tu mi fai ridere». Mark: «Pure tu! Per questo siamo amici». Cronaca di un incontro su Zoom con Willem Dafoe e Mark Ruffalo, due grandi attori uniti dalla simpatia, da una strana foto con un alpaca virale sui social (leggere oltre per sapere perché) e da un capolavoro cinematografico.

Willem Dafoe e Mark Ruffalo in Povere creature!

Willem Dafoe e Mark Ruffalo sono infatti i due personaggi maschili di Povere creature!, il film di Yorgos Lanthimos con Emma Stone che esce ora nelle sale dopo essere stato appena candidato all’Oscar come miglior film, aver vinto 2 Golden Globes (miglior commedia e migliore attrice protagonista) e il Leone d’oro all’ultima Mostra del cinema di Venezia. È la storia di Bella Baxter (Emma Stone), “figlia” segreta e isolata di Godwin Baxter (Dafoe), uno scienziato vittoriano dedito a misteriosi esperimenti. Per vedere il mondo scappa con Duncan (Ruffalo), un libertino convinto di farne la sua amante, ma lei gli sfugge, avventurosa e spregiudicata com’è. Solo due attori che hanno vissuto più vite potevano calarsi in una storia così visionaria, sul filo tra comicità e provocazione.

Il 56enne Ruffalo – 75 film, tra titoli indipendenti come I ragazzi stanno bene e hollywoodiani come Hulk – ha rischiato la vita nel 2002 per un tumore al cervello. «I miei amici hanno coniato una definizione, “essere Ruffalo”, per definire chi ha una fortuna mascherata da sfiga» ha raccontato lui. «Quel periodo durissimo mi ha insegnato a gioire di ogni conquista che davo per scontata». Il 68enne Dafoe – 150 film tra cui Platoon, Spider-Man e Van Gogh – si divide tra New York e Roma, dove nel 2005 ha sposato la regista Giada Colagrande, e in Lazio ha una fattoria con vari animali, tra cui l’alpaca postato dall’amico Mark in visita.

Intervista a Willem Dafoe e Mark Ruffalo

Cosa vi ha conquistato di quest’avventura?

M.R. «È una storia di liberazione. Immagina un’eroina che cresce ed esplora il mondo senza che nessuno riesca a imbrigliarla o metterla sui binari della tradizione. È attualissima in questo momento in cui le donne vogliono vivere ed essere considerate diversamente dal passato. Lo vedo anche nelle mie figlie di 18 e 16 anni (avute dall’ex attrice Sunrise Coigney dopo il primogenito di 22 anni, ndr)».

W.D. «Anche noi uomini ci riconosciamo in Bella perché ha uno sguardo senza filtri, puro, che un uomo non saprebbe esprimere con la stessa intensità. La sua forza ribelle oggi è nell’aria e contrasta con l’ambientazione vittoriana del film, quando il privilegio del maschio bianco era all’apice».

Emma Stone nel film Povere creature!
Emma Stone

La libertà di Bella, che spiazza perfino il libertino Duncan, mette in discussione anche l’amore tra uomo e donna?

M.R. «Diciamo che punta il dito sui rapporti di potere, che con l’amore non c’entrano. Appartengo a una generazione di 50enni che conosce bene la possessività radicata nell’educazione patriarcale. Ne è vittima pure il mio personaggio, convinto di ribellarsi a una società che “distrugge l’anima”. Eppure quando lei infrange le regole e sfugge al suo controllo, lui cerca solo di ristabilire il proprio dominio».

W.D. «E, paradossalmente, proprio quando si innamora il suo desiderio di potere e controllo diventa ossessivo. Altro che amore romantico!»

M.R. «Ci sono due modi di essere uomini, nel film e non solo. C’è chi non sa o non vuole scrollarsi di dosso i condizionamenti sociali e chi impara a cambiare e crescere insieme a donne più libere».

La storia ricorda Frankenstein: vi siete ispirati?

W.D. «Un po’ sì, perché racconta l’isolamento. Ma Frankenstein somiglia di più al mio personaggio, il dottor Baxter, che è mostruoso e ridicolizzato dai suoi studenti. Invece Bella è attraente e divertente, ricorda la creatura di Mary Shelley solo perché è diversa dagli standard sociali. Per me è stato importante leggere il libro di Alasdair Gray dal quale è tratto il film (uscito in Italia per Safarà, ndr): audace e pieno di humour».

I vostri personaggi svelano la vulnerabilità maschile. La sfida degli uomini contemporanei è riconoscere la fragilità, superando il concetto di maschio alfa?

W.D. «Chi non la vede è cieco. Gli uomini dovrebbero capire che la vulnerabilità è un potere. Noi attori siamo abituati a farci i conti, per poterci calare in altre vite, e sappiamo che riconoscerla può mettere in crisi ma anche essere molto appagante. È liberatorio poter indossare i propri difetti».

M.R. «La vulnerabilità è un regalo, lo dico da attore e da padre. Quando ero piccolo un uomo doveva mostrarsi tutto d’un pezzo anche in famiglia, invece la più grande forza sta proprio nell’accettare la fragilità. Si creano, e non solo con i figli, rapporti più profondi e veri».

Il vostro mestiere, unito alla maturità, aiuta a superare insicurezze e paure?

W.D. «Per niente, a ogni film è come se cominciassi da zero! A volte penso che sia un limite non poter contare su tecnica e mestiere, altre sono orgoglioso di essere indifeso perché mi apre all’esperienza e alla crescita».

M.R. «Ho sempre avuto problemi di autostima, tant’è che sono rimasto 7 anni a studiare recitazione con Stella Adler, una donna tostissima al confronto della quale il più duro dei registi mi pare una mammola. Lei ripeteva: “Devi parlare con la tua paura, dirle: brutta stronza, lo so che ci sei ma non ti permetterò di controllarmi”. Risultato: la paura è ancora lì, ma continuo a dialogarci. E quando Lanthimos mi ha offerto questo ruolo, così diverso dai miei precedenti, ero terrorizzato. Mi sono sentito sull’orlo del fallimento per tutto il tempo delle riprese».