Svolta sul fine vita e suicidio assistito. “Caso per caso sarà una toga a decidere il via libera dalla vita stessa. E chi lo accompagnerà in questo percorso non commetterà reati”, è quanto stabilito dalla Consulta, che affida ai giudici di stabilire i margini di un “trattamento di sostegno vitale”. L’anticipazione è stata pubblicata sul quotidiano La Repubblica, che ha svelato le conclusioni di una sentenza che presto sarà resa pubblica.

Cosa ha stabilito la Consulta sul suicidio assistito

Quella della Consulta, ha scritto il giornale romano, è una sentenza “interpretativa di rigetto”, nel senso che precisa l’ampiezza della stessa decisione della Corte sui “trattamenti vitali di sostegno”. La Corte ha interpretato le quattro condizioni fissate nel 2019 che hanno reso possibile il suicidio assistito. La terza stabiliva che a rivendicare questo diritto poteva essere chi è “tenuto in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale”. Ed era capace, recitava la quarta, “di prendere decisioni libere e consapevoli”. Ora la Consulta allarga il riferimento ai “trattamenti di sostegno vitale”.

La svolta sul suicidio assistito

Solo una macchina in caso di paralisi totale, come per chi è tetraplegico? Oppure anche l’indispensabile “sostegno” di un’assistenza continua per ogni minuscolo gesto quotidiano? Qui sta la svolta della Corte, ha concluso Repubblica, che ha affidato alla figura del giudice il potere di stabilire il margine di sofferenza per quel “trattamento di sostegno vitale”, al punto da aprire la porta alla possibilità di mettere fine alla vita con un “io lo voglio“. 

Il caso di Martina Oppelli

Proprio in questi giorni il tema del suicidio assistito è tornato sulle pagine di cronaca per Martina Oppelli, 49enne architetta di Trieste affetta da sclerosi multipla. In merito al suo caso, il tribunale ha stabilito che la donna ha diritto a ricevere “una rivalutazione” delle sue condizioni, per verificare se soddisfa o meno il requisito del trattamento di sostegno vitale – indicato dalla Corte costituzionale con la ‘sentenza Cappato’ – per poter accedere alla morte volontaria assistita. I giudici hanno imposto all’Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina (Asugi) di procedere a una nuova verifica delle condizioni della donna, malata da vent’anni. Otto mesi fa, la stessa Asugi aveva negato alla 49enne triestina l’accesso al suicidio assistito. Ora avrà 30 giorni di tempo per una nuova valutazione, trascorsi i quali dovrà pagare 500 euro a Martina per ogni giorno di ritardo.

Il contributo dell’Associazione Luca Coscioni

La vicenda è stata resa nota dall’Associazione Luca Coscioni, che assiste la donna. «Senza l’assistenza di terze persone – ha ricordato l’associazione -, Martina Oppelli non può mangiare, bere, muoversi e neanche assumere i farmaci di cui ha bisogno. La decisione del Tribunale di Trieste denota grande sensibilità di chi ha saputo riconoscere il dolore in una creatura che, nonostante tutto, conserva sempre il sorriso sul viso. Ora vorrei che questo mio piccolo movimento immobile scuotesse le coscienze di chi ha la capacità e il potere di aprire varchi legali in muri che sembrano invalicabili».