Forse parlare di «rinascimento» è un po’ troppo, ma che la carne suina stia conoscendo una rivalutazione è quel che si dice un fatto. Ciò accade a partire dalla conquista di una precisa identità – come esistono le carni bianche e quelle rosse, così la suina è rosa e non altro -, e prosegue dalla «scoperta» dei suoi profili nutrizionali ed anche della salubrità delle parti più grasse (vituperate, e invece utili all’equilibrio alimentare individuale).
Merito di questa rivalutazione è certamente un miglior modo di allevare i maiali, come ci racconta Annalisa Scollo, medico veterinario che si occupa dello sviluppo della filiera Opas Animal Welfare.
Quali sono state le vostre scelte principali per garantire il benessere dei suini, in un momento in cui le condizioni degli animali negli allevamenti sono al centro di una discussione anche aspra?
Abbiamo fatto tre scelte. La principale è stata rendere meno spoglio l’ambiente in cui viene allevato il maiale. Lo stereotipo dell’allevamento suino, intensivo e spoglio, ha certamente un fondamento: infatti, negli ultimi anni l’intensivo ha ulteriormente estremizzato i propri tratti distintivi. La scelta di arricchire l’ambiente è mirata a poter dare la possibilità agli animali di esprimere il proprio comportamento. I suini della filiera hanno a disposizione, durante l’intera giornata, materiale per giocare, per sfogare la propria naturale curiosità. All’interno delle rastrelliere, per esempio, c’è la paglia, elemento che attrae molto questi animali e li stimola abbassando il livello del loro stress. Questo – e qui passo alla seconda delle nostre scelte – ci ha permesso di evitare la mutilazione della coda. Si tratta di una pratica storica, esercitata poiché il suino, quando è stressato, sfoga la propria aggressività verso i compagni di box e li attacca proprio sulla coda. Nei nostri allevamenti questo non accade.
Infine, la terza scelta riguarda la castrazione. Viene praticata da personale altamente specializzato sotto la supervisione del veterinario che ha programmato un protocollo di anestesia e analgesia. Dopotutto parliamo di un paziente pediatrico, poiché il maiale si castra in tenerissima età. Ecco perché è necessaria una specifica procedura di tutela.
Quindi parliamo di scelte di tutela ad ampio raggio, che vanno dalle pratiche veterinarie all’inserimento dell’animale in un ambiente il più possibile naturale.
Certo, ma per l’ambiente non parlerei di ambiente naturale, quanto di ambiente stimolante. L’obiettivo è tenere impegnato il suino, che è un animale curioso, fornendogli dei giochi che ne attraggano l’attenzione e ne abbassino il livello di stress. Ciò significa avere una carne più genuina e salutare.
Cosa vuol dire, invece, che praticate un uso responsabile del farmaco?
Vuol dire utilizzare l’antibiotico solo nelle situazioni di emergenza in cui ce n’è davvero bisogno. Come per l’uomo quando si ammala, l’uso di questo farmaco è imprescindibile per la salute dell’animale. Il dettaglio che fa la differenza, però, riguarda il trattamento, che va studiato per quella situazione specifica: è necessaria una diagnosi clinica del veterinario supportata da analisi di laboratorio che confermino la scelta di utilizzare un farmaco e non un altro. Insomma, una scelta non casuale ma programmata per il caso in esame. È l’unico modo per garantire un pronta efficacia dell’antibiotico e la guarigione del suino. Ciò riduce ovviamente anche la frequenza d’uso del farmaco: se utilizzi quello giusto, guarisci prima.
Una realtà ben diversa da quella in cui l’antibiotico è usato per far tollerare all’animale mangimi inadatti al suo organismo.
Allargherei il discorso, evitando di concentrarmi solo sull’alimentazione sbagliata. Più in generale direi che un suino stressato, alimentato male e in un ambiente non adatto, vede indebolirsi le proprie difese immunitarie. Quindi, si ammala di più. Questa situazione determina la necessità quasi preventiva della somministrazione di antibiotico. Noi facciamo in modo che questa prevenzione non sia necessaria, utilizzando un ambiente adatto, mangimi giusti e cure specifiche nel caso in cui servano, creando le cosiddette filiere Animal Welfare di Opas.
Come immagina un allevamento di suini tra 10 anni?
Mi lasci premettere che le nostre scelte non sono un punto di arrivo, ma di partenza verso un percorso che, fra 10 anni, mi immagino progredito. I punti su cui vorrei vedere risultati sono diversi: anzitutto, la riduzione dell’utilizzo delle gabbie. Mi riferisco alle gabbie di gestazione e alle gabbie parto per le scrofe: le leggi attuali hanno già affrontato il punto stabilendone la riduzione; l’augurio è di poterle ridurre ulteriormente, se non di abolirle.
Un altro punto è la tracciabilità delle carni: più possiamo garantire al consumatore da dove proviene quel che acquista al bancone del supermercato, più diventiamo credibili nella nostra opera di miglioramento degli allevamenti. E a proposito di miglioramenti, un altro punto su cui dobbiamo continuare a concentrarci è quello delle emissioni dell’animale nell’ambiente: un allevamento sempre più attento a tutto quanto ci siamo detti fa sì che anche questo aspetto, importantissimo a livello ecologico, progredisca nel tempo.