Seppur rappresentino una delle espressioni facciali che più frequentemente ricorrono sul nostro viso, i sorrisi che ci capita di fare durante la giornata possono assumere significati molto differenti, che cambiano a seconda del contesto e dello stato emotivo in cui ci troviamo.
Il sorriso empatico con cui condividiamo la felicità per una bella notizia comunicata da una cara amica, per esempio, è diverso sia da un sorriso di imbarazzo, che ha l’obiettivo di suscitare simpatia così da sviare da una brutta figura, sia dal sorriso che rivolgiamo ad una persona che ci attrae per comunicargli la nostra disponibilità ad interagire.
Pertanto, seppur concordi sul fatto che il sorriso rappresenti uno strumento utile ad inviare messaggi all’interno delle relazioni interpersonali, studiosi e scienziati si sono più volte interrogati su tipologie e significati che può assumere il sorriso, arrivando alle conclusioni più disparate.
Per esempio, un recentissimo studio condotto da un team di studiosi della Cardiff University, della University of Glasgow e della University of Wisconsin-Madison, è partito dall’analisi dei muscoli facciali coinvolti nelle espressioni di vera o presunta felicità, arrivando ad individuare tre tipologie di sorriso. Ovvero:
-Il sorriso di gratificazione. Questo è il tipo di sorriso che si utilizza per interagire con un bambino o che appare sul volto durante lo svolgimento di un’attività piacevole. È il più spontaneo e sincero, ed è caratterizzato dalla contrazione simmetrica dei muscoli zigomatici, dalle sopracciglia alzate e dagli angoli della bocca tirati verso l’alto;
– Il sorriso di affiliazione. Utilizzato per comunicare empatia o vicinanza emotiva con l’interlocutore, questo tipo di sorriso si presenta con un allungamento simmetrico della bocca che rimane però a labbra serrate, senza scoprire i denti;
– Il sorriso di superiorità. Impiegato per rimarcare la propria posizione sociale, culturale o lavorativa rispetto all’interlocutore, questo tipo di sorriso rinuncia alla simmetria, mixando una specie di ghigno sbilenco a sopracciglia e guance sollevate.
A queste macro-categorie sarebbero quindi assimilabili tutti i vari “sottotipi” di sorriso, come per esempio il “sorriso orgoglioso” che mescola elementi del sorriso di gratificazione e del sorriso di superiorità.
Ma al di là delle classificazioni, ciò che emerge da questo, come da altri studi simili, è senza dubbio il valore comunicativo del sorriso, un fattore utile per imparare a leggere ed utilizzare questa espressione facciale con maggiore consapevolezza, a proprio vantaggio e limitando così le incomprensioni.
Un’ultima dritta di cui tenere conto quando vi relazionate con qualcuno? I sorrisi veri e genuini si riconoscono da quelli falsi e forzati perché presentano una maggiore contrazione dei muscoli facciali: questo significa che zampe di gallina e linee di espressione sono più rimarcate ed evidenti. Insomma, in questo caso bisogna proprio dire “viva le rughe”, testimonianza di un’autentica felicità!